Una nuova vita grazie al doppio trapianto. «Ora ho una forza incredibile»

Daila Bernabei, 42enne di Piediripa, racconta la sua storia di sofferenza e rinascita. «Ogni giorno penso al mio anonimo donatore. Adesso sono un’altra persona sotto ogni punto di vista»

Daila Bernabei, 42 anni

Daila Bernabei, 42 anni

Macerata, 6 aprile 2015 - «Il giorno del mio compleanno è il 24 aprile, ma da quattro anni la festa più grande insieme alla famiglia è il 6 febbraio, perché è la data della mia rinascita».

Daila Bernabei, 42 anni, residente a Piediripa, vive grazie a un politrapianto rene-pancreas, a cui si è sottoposta all’ospedale di Pisa il 6 febbraio del 2011. Una scelta impegnativa e difficile, resa possibile dalla donazione degli organi, a seguito della quale si è riappropriata della sua vita, con grande entusiasmo.

Perché ha dovuto sottoporsi al trapianto?

«E’ una storia lunga, iniziata quando ero bambina. A nove anni ero malata di diabete. Nonostante le attenzioni e le cure, diventata adulta la situazione si è man mano complicata. Dapprima ho avuto problemi agli occhi, tanto che ho dovuto sottopormi ad un intervento, poi è arrivata l’insufficienza renale con la quale, per un periodo, grazie ad un’alimentazione ipoproteica, sono riuscita a convivere. Ma non è bastato, e così sono finita in dialisi».

Per quanto tempo è rimasta in dialisi?

«Un anno e 9 mesi. Tre volte alla settimana, per tre o quattro ore, attaccata ad una macchina. Colgo l’occasione per ringraziare il personale dell’ospedale di Macerata, davvero speciale, ma già quell’esperienza aveva cambiato la mia vita radicalmente. Intanto ero in lista d’attesa per il trapianto. Sono stata chiamata per ben sei volte da Pisa, ma solo alla sesta la compatibilità degli organi è risultata la più idonea. In quel periodo lo stato di attesa e di continua allerta era davvero forte, ma la speranza lo era ancora di più. Poi ho fatto il trapianto, peraltro con qualche complicazione. Ma tutto, poi, è andato per il meglio. A chi parla di malasanità voglio dire che io sono sempre stata seguita in modo straordinario e che in fatto di trapianti i centri italiani sono una vera eccellenza».

Come si è sentita e si sente dopo il trapianto?

«Bene, ma non solo fisicamente. Sono una persona nuova da ogni punto di vista. L’esperienza vissuta ha sviluppato in me una forza inspiegabile nell’affrontare la vita, ma anche una sensibilità particolare che mi fa sentire vicina ad ogni persona che soffre, qualsiasi sia la la malattia. Anche per il mio carattere, fatta eccezione per il periodo di ricovero, ho sempre continuato a lavorare, non ho mai perso la speranza. Ma ora la carica è ancora più forte, nonostante i controlli a Pisa, da fare ogni tre mesi. Ogni giorno penso al mio anonimo donatore o donatrice, al quale devo la vita, solo per potergli esprimere la mia riconoscenza».

Che succede il 6 febbraio di ogni anno?

«Festeggio la mia rinascita con la famiglia e vado in Chiesa. Ma ho visto quanti sono in lista d’attesa per un trapianto, grandi e piccini. Per questo la mia voglia di vivere la traduco anche nel messaggio di speranza che cerco di portare con la mia testimonianza, anche per accrescere il numero dei donatori d’organi. So che non è facile, e lo capisco. Ma grazie alla donazione si può ridare la vita ad una persona. Io ne sono un esempio».