Delitto Sarchiè, svolta dalla Sicilia. Indagato anche il figlio di Farina

Salvo, 19 anni, è nei guai per concorso nell’omicidio del 62enne di Paola Pagnanelli

Salvo Farina, indagato per il delitto Sarchiè

Salvo Farina, indagato per il delitto Sarchiè

Macerata, 23 luglio 2014 - Un nuovo indagato, con l’accusa di concorso in omicidio, nell’inchiesta sulla morte del pescivendolo sambenedettese Pietro Sarchiè. Si tratta di Salvatore, detto Salvo, Farina, 19 anni, figlio di Giuseppe e suo collaboratore nell’attività di vendita ambulante del pesce. Anche lui è stato iscritto al registro degli indagati dal procuratore capo Giovanni Giorgio e dal sostituto Claudio Rastrelli, che lo hanno convocato per domani in procura per l’interrogatorio formale. E’ l’ultimo colpo di scena in un’inchiesta in cui molte delle carte sono ancora da scoprire. Secondo quanto si apprende ora, dunque, secondo la procura sarebbero stati almeno in due a fare fuoco sull’indifeso Sarchiè, la mattina del 18 giugno. A padre e figlio infatti è contestata la stessa accusa, il concorso in omicidio.

Ma potrebbero non essere stati solo in due al momento dell’agguato: nell’imputazione infatti si parla ancora di un concorso con altre persone da identificare. L’invito a presentarsi in procura è stato notificato a Salvo Farina a Catania, dove il ragazzo è tornato, lasciando la casa di famiglia a Seppio di Pioraco, subito dopo la scomparsa del sambenedettese. A Catania di recente è tornato anche il padre Giuseppe, con la motivazione di non riuscire più a lavorare in zona per via dell’inchiesta che pende su di lui. Salvo potrà dare la sua versione, oppure avvalersi della facoltà di non rispondere, come ha fatto già il padre su suggerimento dei difensori, gli avvocati Marco Massei e Mauro Riccioni.Resta comunque ancora del tutto misterioso e incomprensibile il movente di questo feroce delitto. Sarchiè era un onesto padre di famiglia, dedito al lavoro che per altro gli imponeva una vita molto sacrificata: si svegliava alle 2 di notte, andava a Porto San Giorgio ad acquistare il pesce, e poi con il suo furgone andava a rivenderlo nei centri dell’alto Maceratese. Una routine pesante, che però lui affrontava con serenità. 

Dal momento della sua scomparsa, la mattina del 18 giugno, la sua vita è stata rivoltata alla ricerca di indizi per capire dove fosse finito, e non è venuto fuori nulla di segreto, ambiguo o semplicemente non conosciuto dalla moglie, Ave Palestini, e dai figli Jennifer e Yuri. Dunque, perché ucciderlo? Per eliminare un concorrente? Una mossa poco furba, considerato che Sarchiè sarebbe andato in pensione a breve, e che comunque nulla avrebbe imposto ai suoi ex clienti di iniziare a rifornirsi da Farina, dopo la sua scomparsa. E comunque, non parliamo di un giro di soldi tale da giustificare un omicidio. Oppure una intimidazione su larga scala messa in atto dalla criminalità organizzata? In questo caso, è facile ipotizzare che il cadavere non sarebbe mai stato ritrovato, così come tutti gli effetti personali di Sarchiè. In base a una serie di elementi che, al momento, non si conoscono, gli inquirenti sospettano comunque di Giuseppe e Salvo Farina come autori del delitto. Sarebbero stati loro — secondo l’accusa — a fare fuoco sul commerciante, dopo un agguato teso tra Sellano e Seppio. Il furgone sarebbe stato poi preso da uno dei due, nascosto, fatto a pezzi, e le varie parti insieme agli oggetti personali della vittima sarebbero stati distribuiti tra gli amici di Farina, catanesi di origine come lui: l’imprenditore edile Santo Seminara e i coniugi Domenico Torrisi e Maria Ansaldi, tutti accusati di favoreggiamento.

Paola Pagnanelli