Il prete di Seppio si difende: "Volevo bene a Sarchié"

Don Mario Cardona dopo le accuse della famiglia dell'ambulante: "Mi chino di fronte al dolore dei parenti"

La fiaccolata

La fiaccolata

Macerata, 13 settembre 2014 - «Io non ho mai elogiato indagati né in omelie né in privato e non è vero che mai abbia riservato parole di umana pietà per la povera vittima Pietro Sarchiè, che ben conoscevo e al quale volevo bene» ha tenuto a precisare ieri don Mario Cardona, il parroco di Seppio, dopo le affermazioni della figlia del commerciante, Jennifer. «Io non intendo alimentare — ha quindi proseguito — anche per rispetto del mio ministero, polemiche di alcun tipo. Solo questo mi trattiene dall’affidare alla tutela della legge la mia onorabilità, cosa che mi troverei costretto a fare se dopo questa mia comunicazione saranno ancora oltrepassati i limiti della continenza e della gratuitàdell’offesa. Affido il mio sentimento alla cristiana pietà e mi rendo disponibile in qualsiasi momento a incontrare i familiari della sventurata vittima».

L’ottantaquattrenne sacerdote ha quindi ricordato i motivi della sua dichiarazione: «Nei giorni scorsi la drammatica vicenda che ha colpito la vita di Pietro Sarchiè e sconvolto l’esistenza dei suoi familiari ha conosciuto un risvolto che mi riguarda personalmente e che mi ha turbato per i toni talora violenti e privi di veridicità. Infatti alcuni mezzi di comunicazione, nel prendere spunto dal ritrovamento a Seppio di un motorino di uno degli indagati all’interno di un locale di proprietà della parrocchia, si sono prodigati in giudizi nei miei confronti ingenerosi e temerari, traendo conclusioni dello stesso tenore.

Del pari i familiari, di fronte al cui dolore mi chino in silenzio, hanno ritenuto di dovermi addebitare comportamenti che non mi caratterizzano». Ha quindi concluso: «Con questo mio intervento voglio far giustizia di inesattezze e superficialità. Primo: la collocazione del motorino all’interno del locale della parrocchia non coincide con la tempistica indicata dai mezzi di comunicazione, come è ben noto all’autorità inquirente. Nessuna illazione giornalistica su tempi e motivi ha colto nel segno e il quadro che ne è venuto fuori mi diffama ingiustamente e inutilmente. Su ciò non posso aggiungere null’altro, trattandosi di questioni devolute al segreto investigativo degli inquirenti. Secondo: mi si attribuiscono sentimenti e parole, in relazione all’efferato episodio, che sono lontanissimi dal mio pensiero».