Omicidio Sarchiè, il pescivendolo disse a un collega: "Ho problemi con un siciliano"

Le parole del 62enne pochi giorni prima di essere ucciso

Pietro Sarchiè con uno squalo nel suo negozio

Pietro Sarchiè con uno squalo nel suo negozio

Macerata, 21 luglio 2014 - Sul caso dell’efferato omicidio di Pietro Sarchiè, a sorpresa, emergono un paio di indiscrezioni sulle quali, sicuramente, gli investigatori stanno lavorando, ma di cui non hanno mai parlato.

Procediamo per ordine. Qualche giorno prima dell’assassinio del pescivendolo sambenedettese, un venditore ambulante di prodotti ittici, cotti e crudi, proveniente dal maceratese e che bazzica le piazze di Pioraco e dintorni, ha subito un atto intimidatorio. Qualcuno gli ha forzato lo sportello del camion e ha appiccato il fuoco al sedile lato passeggero. Le fiamme non si sono propagate a tutto il mezzo perché il materiale usato per la tappezzeria è solitamente ignifugo e perché, una volta richiuso lo sportello, nell’abitacolo è venuto ben presto a mancare l’ossigeno, indispensabile per favorire lo sviluppo delle fiamme. Un messaggio piuttosto chiaro.

I familiari di Pietro Sarchiè, in particolare la moglie Ada Palestini, hanno sempre affermato che il marito non aveva mai ricevuto avvertimenti. Ada ha passato giorni a sfogliare l’agenda di Pietro alla ricerca di qualche appunto particolare, inserito fra la lista del pesce da comprare, di quello venduto, delle cose da fare e via dicendo. Nulla di nulla. Pietro non aveva mai parlato di problemi di lavoro sulle piazze da lui servite da oltre 30 anni, ma che già appartenevano ai genitori e perfino ai nonni.

Invece spunta un commerciante ambulante, che non ha a che vedere con il pesce, il quale afferma che Pietro, qualche giorno prima della sua barbara uccisione, gli aveva confidato che c’era un siciliano che gli stava cominciando a creare problemi. Di questo, però, non aveva mai parlato a casa, probabilmente per non preoccupare la moglie Ave e soprattutto la figlia Jennifer. «Non avevo mai saputo nulla di questa storia — afferma Ave —, Pietro era apparso sereno come sempre e questo mi lascia ipotizzare che alle eventuali minacce non aveva dato il giusto peso. Se invece avesse subito un danneggiamento, anche piccolo, gli avrebbe fatto capire che era il momento di lasciare, anche perché lui aveva deciso di andare in pensione a fine anno. Di questo, però, non aveva mai parlato con i suoi affezionati clienti per timore che potessero passare da subito alla concorrenza e che la sua attività potesse subire un crollo improvviso». Va anche ricordato che Pietro aveva in mente di vendere il furgone e la licenza, prima di abbandonare. In un primo momento aveva avuto contatti con un giovane, che poi ha rinunciato e in seguito aveva preso accordi con un parente. «Non lo sapeva nessuno di questi contatti, tranne loro — aggiunge la moglie Ave —. Quindi escludo che chi l’ha ucciso per conquistare la sua piazza fosse a conoscenza di certi particolari».