A casa dopo 10 giorni di coma, l’intervista: «Torno alla vita con occhi diversi»

Paolo Barabucci, cameraman 33enne di Video Tolentino, ebbe un incidente in moro il 19 luglio di Lucia Gentili

Paolo Barabucci, cameraman 33enne di Video Tolentino

Il cameraman Paolo Barabucci

Tolentino (Macerata), 25 agosto 2015 - Paolo Barabucci è tornato a casa. Il centauro di 33 anni, cameraman di Video Tolentino, non ha mai versato una lacrima da quella sera del 19 luglio, quando in sella alla sua Yamaha R1 ha avuto un brutto incidente sulla superstrada 77 Val di Chienti scontrandosi con una Golf. Si commuove solo pensando con tenerezza a babbo Carlo e mamma Roberta (Valenti), che non l’hanno lasciato un attimo durante i dieci giorni di coma all’ospedale Torrette di Ancona, e nel percorso riabilitativo cominciato a Camerino e completato a Treia.

Si è rimesso in piedi da solo, «trovando il lato positivo di una situazione negativa», ma l’amore dei suoi genitori, quello dei parenti più stretti, degli amici e degli angeli della buona sanità sono stati fondamentali per reagire. «Ero convinto di farcela, volevo rialzarmi dal letto, ricominciare a camminare e tornare ad essere quello di prima», racconta. E ce l’ha fatta.

L’INTERVISTA

 

Si è risvegliato dopo una settimana e mezza di coma farmacologico. Cosa si ricorda di quei giorni?

«Dei flashback sognati, attimi realmente accaduti in ospedale che mi tornavano alla mente, una volta riaperti gli occhi, come in una sorta di dormiveglia. Ricordo mia madre e mia zia sedute accanto al mio letto, qualche immagine sfocata di dottori, macchinari e reparti. Ad esempio ricordo un flash del trasporto in eliambulanza. Non ho visto tunnel di luce o cose simili».

Qual è la prima cosa a cui ha pensato riaprendo gli occhi?

«Ho visto che ero fermo a letto, con fili e sondini ovunque, legato a dei macchinari e mi sono detto: ‘Che diamine è successo?’. Non ricordavo niente dell’incidente, non sapevo perché mi trovassi in ospedale. Poi i familiari mi hanno spiegato e piano piano la memoria è tornata, ho cominciato e ricostruire».

 

Come sta adesso e quanto è cambiata la sua vita?

«A parte la clavicola destra fratturata, per cui subito non potrò riprendere in spalla la videocamera, sto bene. Da tac, analisi e risonanza magnetica, i dottori hanno constatato che i due ematomi alla testa riportati dopo lo schianto, ciò che maggiormente minava la mia condizione, si sono riassorbiti. Tra trenta giorni ho un nuovo controllo e mi diranno se è tutto apposto. La parte più difficile e stancante è quella riguardante la vicenda giudiziaria, per capire se mi hanno tagliato la strada. Dopo le tre settimane di riabilitazione a Treia devo continuare la fisioterapia a casa. Mi sveglio verso le 7, faccio colazione e poi ginnastica: a piccoli passi cerco di tornare alla vita di prima, ma con occhi diversi. Adesso voglio pensare a me e a chi mi sta intorno, quest’esperienza mi è servita per capire ciò che conta veramente e chi mi vuole bene. Ho cambiato la scala dei valori e delle priorità. Prima pensavo solo al lavoro, e a fare qualche giro in moto con gli amici ogni tanto. Adesso voglio vivere».

Vuole ringraziare qualcuno?

«I fisioterapisti di Treia per i preziosi insegnamenti, la logopedista, i dottori, le infermiere, gli aiutanti, altre persone meravigliose che, come se ci conoscessimo da sempre, sapevano cosa mi serviva in qualsiasi ora. Grazie alla mia famiglia, ai miei genitori che, seppur con un dramma, ho potuto rivedere insieme e uniti, grazie ai parenti, agli amici, ai colleghi, a chi mi ha lasciato un messaggio d’affetto, pur senza conoscermi, e non mi ha fatto sentire solo. Grazie a tutti».

Salirà ancora su una moto?

«No, anche prima dell’incidente avevo deciso che l’avrei abbandonata. L’assicurazione sarebbe scaduta dopo tre mesi, gli ultimi tre. L’ho portata per quindici anni e sono uno che non ha mai corso. Quel giorno viaggiavo sui 100 km/h, se avessi guidato un’auto non mi sarei fatto niente».

Lucia Gentili