Da tre anni in attesa di un cuore. "La mia vita è appesa a un filo"

Ennio Carassai: attaccato a una macchina aspetta la chiamata

 Ennio Carassai ha 68 anni

Ennio Carassai ha 68 anni

Macerata, 29 marzo 2015 - Da oltre due anni vive con un cuore artificiale. La sua vita è letteralmente appesa ad un filo: quello che alimenta l’elettricità, che fa funzionare la pompa che dal ventricolo sinistro porta il sangue all’aorta, garantendogli la vita. In attesa di un trapianto, per il quale è in lista d’attesa all’ospedale Niguarda di Milano. Ennio Carassai, 68 anni, dipendente Telecom in pensione, appassionato della montagna e micologo, è uno dei casi rispetto al quale il trapianto costituirebbe una soluzione definitiva. E, dunque, sa quanto sia importante la donazione degli organi.

Abita a Macerata con la moglie, Ivana Fermani, suo supporto fondamentale. «So di vivere grazie a una macchina, che può fermarsi in ogni momento e, con essa, la mia vita – spiega –. Ma è meglio far finta che tutto sia normale, anche se so che più il tempo passa, più si complica la possibilità di effettuare il trapianto».

Tutto è cominciato nel gennaio 2012 quando Ennio, che solo qualche settimana prima aveva compiuto un’escursione sul monte Vettore, accusa dei dolori al petto, via via crescenti. Va al pronto soccorso dell’ospedale di Macerata, gli assegnano un codice giallo e solo dopo oltre un’ora ci si rende conto che la situazione è ben più seria: aveva un infarto in corso. Qui gli viene praticata un’iniezione per sbloccare la coronaria, ma senza esito. Le cose non migliorano e si verificano anche degli arresti cardiaci. Poi, ormai incosciente, Carassai viene trasferito alla rianimazione dell’ospedale di Torrette di Ancona. «Mi sono svegliato con in testa un casco trasparente stile palombaro che serviva per l’ossigenazione – afferma –.Una volta stabilizzato i medici hanno ben analizzato la mia situazione e mi hanno subito detto che l’unica soluzione era il trapianto».

Trasmessa rapidamente tutta la documentazione all’ospedale Niguarda, Carassai viene trasferito a Milano. «A un certo punto – dice – sembrava che in attesa del trapianto potesse bastare la terapia farmacologica. Ma così non era. Anzi, nel frattempo, la sfortuna ha voluto che si fosse richiusa la coronaria. A quel punto l’unica possibilità era quella di impiantare questa macchina». Così, con qualche breve interruzione, Carassai ha passato circa un anno a Milano tra il Niguarda e l’Istituto Gnocchi, dove era stato inviato per la riabilitazione. «Un giorno a Milano mi hanno detto che c’era un cuore a disposizione – ricorda –, compatibile con la mia situazione. Ma lo era anche per un giovane albanese di 22 anni, a cui poi è stato impiantato, com’era giusto che fosse. Lo prevedono le regole e, comunque, avrei dato in ogni caso la precedenza a quel giovane. Sa che dopo l’operazione mi è venuto a trovare? Mi ha detto: arrivo adesso da una partita di calcetto».