Neonato morto. "Diteci la verità"

Il piccolo ucciso da un virus in ospedale, la famiglia si oppone alla richiesta di archiviazione

Roberto Carletti con il figlio Gian Marco

Roberto Carletti con il figlio Gian Marco

Macerata, 6 marzo 2015 - Nessun colpevole, secondo la procura, per la morte di un neonato ucciso da un virus a cinque giorni dal parto. Ma dopo l’opposizione dei genitori, sarà il tribunale a decidere come chiudere questa inchiesta. La storia, dolorosa, è avvenuta il 22 novembre 2012. Isabella Rapaccini e Roberto Carletti, titolari di una pasticceria a Treia, si presentano all’ospedale di Macerata: dopo una gravidanza senza problemi, alla trentaseiesima settimana il bimbo, Gian Marco, ha deciso che è ora di nascere. Dato che è podalico, viene alla luce con un cesareo.

E’ bello e sano, e tutto va per il meglio. Quattro giorni dopo però, al momento delle dimissioni, in ospedale decidono di trattenerlo per un principio di ittero. Purtroppo quella sera, è il 26, comincia a star male. Per tre volte, quella notte, la mamma si alza e chiede aiuto al nido, senza ottenere nulla. Finalmente la mattina alle sei misurano la temperatura al bimbo: ha la febbre a 38. Arrivano un’infermiera, poi la pediatra, ma tranquillizzano la mamma. Dopo qualche ora Gian Marco viene sottoposto a una trasfusione d’emergenza, ma le sue condizioni non migliorano. Allora si decide di trasferirlo al Salesi, con l’automedica perché non è in grado di viaggiare in elicottero.

Ma quando infine il neonato arriva ad Ancona è troppo tardi, e malgrado tutti i tentativi il suo cuore si arrende. Uno strazio per i genitori, sconvolti e incapaci di capire cosa sia successo. A gennaio, il Salesi comunica loro che il bambino aveva nel sangue l’echovirus, e nelle feci la Klebsiella pneumoniae, una di quelle che vengono chiamate infezioni nosocomiali. A pochi giorni dalla nascita, quello che a un adulto avrebbe causato un semplice raffreddore, era stato fatale per Gian Marco.

A quel punto, la coppia ricorda che in camera con la mamma c’era un’altra partoriente che aveva il raffreddore. Isabella Rapaccini aveva chiesto più volte un’altra stanza, anche a pagamento, che però non le era stata data. Da qui l’esposto. Il sostituto procuratore Rosanna Buccini dispone una perizia, affidandola al medico legale perugino Walter Patumi. Questi conclude che con certezza la causa dell’infezione è nosocomiale. Ma a quel punto il sostituto procuratore Buccini chiede l’archiviazione: pur essendo elevata la possibilità che il bimbo si sia ammalato in ospedale, sarebbe impossibile identificare il momento e il mezzo con cui il virus è stato trasmesso.

Contro questa conclusione i genitori, assistiti dagli avvocati Giovanna Matteucci e Romina Tortolini, hanno fatto opposizione depositando tra l’altro una nuova consulenza, redatta dal professor Francesco Macagno, un luminare della neonatologia. Nella sua relazione, il medico parla dell’inadeguatezza della struttura e di condotte omissive da parte del personale, che non avrebbe tenuto conto della presenza di una persona malata nella stanza del neonato, sebbene i protocolli lo vietino: i virus possono avere effetti letali sugli organismi delicati dei neonati. Tra l’altro la trentaseiesima settimana sarebbe, a detta del neonatologo, un momento critico per il rischio infezioni.

In tribunale martedì c’è stata l’udienza per l’opposizione davanti al giudice per le indagini preliminari Enrico Zampetti, il quale ora dovrà decidere se accogliere la richiesta della procura e archiviare il fascicolo (per il quale non ci sono indagati), oppure quella della famiglia, disponendo altre indagini. «Alcuni recenti fatti di cronaca, come quello della piccola Nicole, ci hanno fatto molto male – commenta Isabella Rapaccini –. Noi siamo passati da un dolore immenso a una rabbia cosciente, leggendo le carte dell’inchiesta. Ci auguriamo che venga fatta luce su quello che è accaduto, perché cose del genere non succedsno mai più».