San Felice, esclusa dalla "White List" la Bianchini chiude

E’ concordato liquidatorio per l’azienda fuori dai lavori post terremoto di Francesco Vecchi

Gli operai della Bianchini

Gli operai della Bianchini

San Felice (Modena), 25 luglio 2014 - "Concordato pieno liquidatorio", o "con cessione di beni" in gergo tecnico. Ma la sostanza è sinonimo di chiusura definitiva per la Bianchini Costruzioni srl. L’azienda che ha sede legale a Rivara, 150 dipendenti, è stata esclusa un anno fa dalla White List della prefettura: lo strumento creato per evitare che aziende a rischio infiltrazioni malavitose potessero lavorare nell’area del cratere. Il concordato è stato dichiarato lo scorso 10 luglio; già nominato un commissario, Stefano Zanardi, che sta ora elaborando una relazione da presentare in tribunale a Modena il 15 ottobre. Quel giorno i creditori valuteranno la proposta della Bianchini, firmata dall’avvocato Stefano Calzolari, di vendita di beni per pagare i debiti accumulati.

L’azienda di via Degli Estensi in parole povere cederà immobili e macchinari e con i soldi ricavati conta di poter coprire il 100% dei debiti nei confronti dei creditori ‘privilegiati’ (dipendenti stessi, Inps e Inail) e in un’altra percentuale dei creditori chirografari (prevalentemente fornitori). Gli imprenditori potranno firmare o meno. In entrambi i casi per la Bianchini si prospetta la fine ufficiale delle attività (in realtà ferme già da tempo). «Un’azienda sana come la nostra — commenta direttamente la Bianchini — che dava lavoro a 150 famiglie è stata costretta a licenziare tutti i propri dipendenti e ricorrere alla procedura di concordato solo ed esclusivamente a causa del provvedimento della prefettura di Modena».

L’azienda di San Felice in un anno ha presentato ricorsi al Tar di Bologna e Parma, dove ha visto respingere, ma solo in via cautelare, la richiesta di riammissione alla White List. In Lombardia il Tar ha accolto la richiesta della società, che così ha ottenuto il via libera per altri appalti, tra questi anche opere di viabilità legate all’Expo. Infine la prefettura ha detto no a una nuova richiesta di iscrizione. Ma se su un piatto della bilancia c’è la posizione della ditta che si è sempre detta completamente estranea alle accuse, sull’altro vanno messe le indagini condotte dal gruppo interforze (carabinieri, polizia e Girer). Indagini secondo le quali la Bianchini avrebbe assunto persone legate in qualche modo alla criminalità organizzata.

Citato, ad esempio, l’accertamento dei carabinieri in un cantiere di Finale Emilia (datato settembre 2012), dove la Bianchini aveva in subappalto le fondazioni delle scuole (cantiere della Cmc di Ravenna): i militari trovano nella zona dei lavori «un pregiudicato, Michele Bolognino, condannato per associazione mafiosa», si legge nelle motivazioni dell’interdittiva. Tra i dipendenti della ditta di San Felice, poi, «spunta anche un 21enne residente a Brescello, legato sentimentalmente a Nikol Valentina Grande Aracri: la figlia di Nicolino, boss dell’omonima cosca di Cutro». Il prefetto Basile rileva, come riportano gli atti, la sussistenza di rapporti economici della Bianchini con un imprenditore di Reggio Emilia, Virginio Villani, ritenuto vicino ai Muto, famiglia notoriamente contigua ad esponenti sempre del gruppo mafioso Grande Aracri e al boss di Isola Capo Rizzuto, Michele Pugliese, capo dell’omonima ’ndrina. Così, nero su bianco, le motivazioni della prefettura.

Elementi che ancora oggi raccolgono la replica dell’azienda, che respinge il quadro ricostruito dalla prefettura: «Visto che i tempi della giustizia non sono quelli dell’impresa — fa sapere sempre la Bianchini — un’azienda profondamente sana e in attivo, a causa del fatto che operaio un 21enne assunto per soli otto giorni fosse legato sentimentalmente a Nikol Valentina, nipote di un boss, è stata costretta a licenziare tutti i dipendenti e a chiudere. Quello che purtroppo è capitato a noi potrebbe capitare a qualunque altra impresa del territorio, forse occorrerebbe un urgente intervento normativo».

Francesco Vecchi