“Terroristi, non ci avrete mai”

La lettera aperta di Chaimaa Fatihi, studentessa a Modena, è diventata un libro

Chaimaa Fatihi, a Modena con il suo libro

Chaimaa Fatihi, a Modena con il suo libro

AVEVA sei anni quando è arrivata in Italia, con un lungo viaggio in pullman dal Marocco. Oggi Chaimaa Fatihi ne ha 23, studia Giurisprudenza a Modena, si sente (ed è) orgogliosamente «italiana, musulmana ed europea». Ed è per questo che, all’indomani delle stragi di Parigi, lo scorso novembre, ha scritto una lettera aperta ai terroristi, uno sfogo e un impegno, «Non ci avrete mai, non farete dell’Islam ciò che non è (…) Io non ho paura di voi, e se malauguratamente doveste arrivare qui, sarò la prima a scendere in campo per salvare la mia patria». Quel grido, Non ci avrete mai, è diventato il libro (edito da Rizzoli) in cui Chaimaa racconta se stessa e il suo ‘credo’ religioso e civile: domani alle 10 incontrerà gli studenti della scuola Pepoli di Bologna e alle 18, poi, presenterà il suo lavoro alla libreria Coop Ambasciatori in via degli Orefici.

Perché ha scritto quella lettera?

«È nata d’impulso dopo i fatti di Parigi. Immaginavo che sarebbe scattata una gogna mediatica sui musulmani, anche in Italia. Volevo dire il mio pensiero».

Lei si rivolge ai terroristi come se non fossero musulmani. Ma gli attentati li hanno compiuti in nome di Dio...

«Io mi rivolgo loro in quanto disumani e criminali. Non voglio legittimarli a usare ulteriormente il nome di Dio: anche Papa Francesco dice che chi compie violenze in nome di Dio sta bestemmiando. I terroristi hanno infangato il nome di Dio e hanno commesso atti che ledono la nostra fede e tutta l’umanità».

Molti hanno chiesto ai musulmani di prendere le distanze da questi atti. Lei scrive che è assurdo: perché?

«Perché il musulmano è una persona di pace e non di guerra: è assurdo chiedere ai musulmani, come categoria, di dissociarsi quando in realtà noi, nel quotidiano, da anni, seguiamo un percorso di dialogo. Non servono manifestazioni per dire che noi siamo contro questi criminali: lo siamo nel quotidiano e sempre».

La sua è una posizione moderata: ma sono proprio tutti come lei?

«Non mi piace la parola ‘moderata’: di per sé l’Islam è una religione di equilibrio. Il punto centrale è proprio l’equilibrio nella fede, spirituale come nella concretezza di tutti i giorni. Nella nostra comunità, la stragrande maggioranza vuole dialogare, e lo vediamo anche attraverso le attività dei centri islamici. Certo, qualcuno ha qualche timore in più e magari si chiude in se stesso: dobbiamo cercare di operare insieme, affinché non si creino delle emarginazioni e dei ghetti, perché è proprio da lì che nascono forme di radicalismo».

Ci sono stati, per lei, dei momenti di difficoltà nell’essere accolta?

«Soprattutto nei primi anni delle scuole superiori. Trovai anche un’insegnante che, quando mi presentai in classe con una felpa militare, mi disse ‘Spero che tu ora non ti faccia saltare in aria’. Ho vissuto momenti dolorosi ma, grazie al sostegno di tanti, ne ho fatto una molla per riscattarli e renderli una risorsa per me stessa e per gli altri».

Perché ha deciso di studiare Giurisprudenza?

«Mi piacciono molto i diritti, amo profondamente la nostra Costituzione. La mia aspirazione è di occuparmi di Diritto internazionale umanitario».

Lei porta il velo e dice che è una forma di libertà. In che senso?

«Perché scelgo io di indossarlo, come altre ragazze e donne. Ci sono anche forme di imposizione che alcuni uomini compiono verso le proprie donne o sorelle, ed è una delle questioni per cui ci si sta battendo molto».

Qual è il suo sogno?

«Poter vedere un giorno che non ci siano più profughi perché non ci saranno più guerre. È utopistico, lo so, ma partendo dal basso si può lavorare per una maggiore interazione fra i popoli e per vedere più quello che ci unisce, piuttosto che quello che ci divide».