A processo per furto aggravato ma viene assolta. "E’ cleptomane"

La storia di una 50enne: «Costretta a rubare da piccola, ora è malata»

Violenza sulle donne

Violenza sulle donne

Modena, 30 giugno 2016 - E’ una patologia difficilissima da dimostrare, anche perché spesso i malviventi se ne servono per poter rubare liberamente, aggrappandosi poi al vizio di mente. La giurisprudenza è quindi rigidissima nel diagnosticare la cleptomania, ma ieri il giudice ha assolto una modenese 50enne dall’accusa di furto aggravato, dando ragione alla tesi della difesa.

Ovvero: la donna è a tutti gli effetti cleptomane e, dinanzi ad un qualsiasi oggetto, non può fare a meno di appropriarsene. Ma quella che state per leggere non ha nulla a che vedere con un’accumulatrice seriale, come la protagonista del noto romanzo ‘I love shopping’. E’ anzi la testimonianza di una donna vittima per troppo tempo di violenza e privazioni, emersa quasi per caso nelle aule di tribunale.

Sin da piccolissima, infatti, la 50enne, vittima di abusi sessuali da parte di un padre padrone, è stata obbligata a rubare per poter sopravvivere. Ad imporglielo era stata proprio la madre, che già nei primi anni di vita aveva insegnato alla figlia , primogenita di dieci fratelli, ‘l’arte del rubare’ durante quotidiane incursioni nei negozi e nei supermercati. E se – come ha documentato in aula una dottoressa del servizio di igiene mentale – la bambina si fosse permessa di tornare a casa la sera senza alcun tipo di bottino, ad attenderla c’erano botte e privazioni, come intere giornate senza cibo. Negli anni la 50enne, arrivata con la famiglia in città da Aversa all’età di cinque anni, ha interiorizzato il comportamento.

Se fino all’adolescenza l’unico modo per non subire violenze era quella di mettere sul tavolo più merce possibile, nell’età adulta ha messo in atto lo stesso comportamento per sentirsi ‘al sicuro’. Quando l’obiettivo era raggiunto, da bambina era certa di poter andare a letto con lo stomaco pieno e senza lividi. Da adulta l’afferrare oggetti a caso le garantiva la stessa sensazione di pace e tranquillità. «Se riesco a portare a casa gli oggetti, sono brava, posso restare serena».

Dunque una psicosi affettiva legata al suo vissuto e che parte da lontano. Ma da cosa nasce il processo? La 50enne, con un disturbo grave certificato del 100 per cento e un ‘discontrollo degli impulsi’, viene beccata a marzo mentre ruba all’interno del centro benessere di Salvarola. Le telecamere la riprendono mentre si impossessa di alcuni capi d’abbigliamento, in particolare giubbotti di taglie differenti e materiale fisioterapico, tra cui strani cilindri in gomma. Nel corso delle indagini della polizia emerge come la stessa avesse messo a segno colpi anche all’ospedale di Baggiovara, dove si era impossessata di imbottiture per cuscini.

Scatta così la perquisizione nella sua abitazione da parte degli agenti del commissariato di Sassuolo, ma ciò che trovano li lascia sgomenti: cumuli di materiale inutile in ogni stanza, accatastato negli angoli della casa, dalla penna al tappo di calamaio. La donna viene rinviata a giudizio per furto aggravato ma, supportata dal proprio legale, cerca di spiegare come per lei sia impossibile non rubare. Ogni volta che ‘acchiappa’ un oggetto, insomma, subisce una sorta di liberazione.

La procura aveva chiesto per la donna la condanna a quattro mesi di reclusione ma il giudice, il dottor Tirone, l’ha ritenuta innocente. L’avvocato Enrico Aimi è riuscito a dimostrare in aula come la propria assistita non sia una ladra, ma una delle tante donne vittime di violenza e come le cose sottratte, tra cui un cilindro di gomma piuma o l’imbottitura di un cuscino, rappresentino per la loro assoluta inutilità il ‘sigillo’ della prova dibattimentale della cleptomania. Ovvero un istinto irrefrenabile e nevrotico a commettere un furto.