Modena, 23 febbraio 2011. "Mi hanno portato nello scantinato del bar e mi hanno dato schiaffi, calci e pugni. Il mio amico li pregava di smettere perché mi stavano massacrando. Poi mi hanno fatto sedere e mi hanno detto che dovevo restituire io i soldi all’avvocato, una quota ogni mese. L’avvocato Bitonti era presente, ma non ha detto nulla. Non ho sporto denuncia perché avevo paura".

E’ il racconto fatto agli inquirenti da uno dei due intermediari pestati dagli uomini di Alfonso Perrone, considerato uno dei tentacoli del clan dei casalesi nella zona di Modena.

La vittima del pestaggio, un campano, aveva infatti mediato la compravendita di un’automobile tra l’avvocato Alessandro Bitonti - arrestato lunedì con Perrone e il resto della banda - e un venditore veronese.

L'avvocato, però, si era sentito truffato e, dopo aver sporto regolare querela, aveva chiesto all’intermediario di recuperare i soldi per accelerare i tempi, forse perché rimasto ‘al verde’. Il veronese, infatti, aveva incassato gli assegni emessi dal legale in un’unica soluzione venendo meno all’accordo, prosciugando di fatto il conto del professionista che si era visto anche protestare un assegno.

Il lavoro dell’intermediario, però, è fallito. Anzi, il 12 marzo 2010 il venditore veronese si presentò nello studio di corso Canalgrande dell’avvocato Bitonti, e lo schiaffeggiò per vendicarsi della querela. E’ a questo punto che il civilista ha telefonato ad Alfonso Perrone detto ’O Pazzo, dicendogli quello che era successo. Perrone era stato suo cliente per alcune cause civili e - secondo gli investigatori della Dda di Bologna che coordinano l’indagine insieme al pm modenese Pasquale Mazzei - l’avvocato Bitonti avrebbe deciso di contattare ’O Pazzo per riottenere subito i soldi che aveva perso.

Una scorciatoia, che però gli è costata l’arresto per concorso in tentata estorsione e lesioni, il tutto aggravato dal metodo mafioso. Gli agenti della squadra mobile di Modena stavano infatti già indagando su Perrone, poi arrestato il 18 marzo per alcune estorsioni con altri venti complici, e hanno quindi intercettato le telefonate, più di una decina, intercorse tra l’avvocato e Perrone.

"Sei il mio angelo custode", diceva il legale al boss. "Tu ti rivolgi a gente sbagliata, sistemo tutto io. Questa cosa la sistemiamo con le solite maniere", rispondeva Perrone, deciso a fare riavere i soldi al legale. Alle telefonate, cominciate il giorno dopo gli schiaffi riemediati nel suo studio, sono seguiti i fatti: il 16 marzo, due giorni prima che Perrone finisse in carcere per estorsioni a night e ristoranti, ’O Pazzo convocò in un bar del centro i due intermediari ‘rei’ di aver truffato l’avvocato con il venditore veronese.

E il boss portò con sè il cugino Pasquale Perrone e Carmine Tammaro, napoletano di 57 anni. Nel locale il terzetto venne raggiunto dall’avvocato Bitonti e da Douglas Marchesi, suo ‘autista’, che fecero da spettatori al pestaggio dei due mediatori. Nelle telefonate non c’è alcuna rischiesta esplicita da parte dell’avvocato di picchiare i due intermediari: "le solite maniere» sarebbero infatti state scelte da Perrone. Per gli investigatori, però, il legale una volta contattato ’O Pazzo, non epoteva non sapere come si sarebeb mosso per recuperare il credito. «Alfo, altro che querele e denunce, non è per fare il leccac..., ma ieri mi hai dato una lezione di vita». Fu il commento dell’avvocato Bitonti al pestaggio andato in scena nello scantinato del bar il giorno precedente. Perrone aveva convinto con le botte i mediatori a ripagare il legale dei soldi persi nel tentativo di compravendita dell’auto. "O convincete il veronese, o ce li mettete voi i soldi", aveva ordinato.

Ma l’estorsione non andò a buon fine perché ’O Pazzo fu arrestato per altri fatti. Lunedì, invece, sono scatatte le manette per Perrone (già detenuto), l’avvocato e le altre tre persone presenti nel bar.

Per tutti e cinque l’accusa è aggravata dal metodo mafioso: il gip distrettuale sottolinea infatti che l’aggravante prescinde dall’appartenenza a un clan e vale per chiunque si avvale di un metodo intimidatorio di stampo mafioso. In questo caso l’avvocato si sarebbe avvalso di Alfonso Perrone, uomo dalla grande forza intimidatoria, braccio destro del clan dei casalesi e conosciuto dalle vittime come vicino alla criminalità organizzata.