Modena, 6 aprile 2011. Si toccano nervi scoperti quando si parla di ‘ex’, Modena lo sa bene. All’ex Amcm le ruspe non sono bastate a demolire anche le polemiche. Figurarsi se si può far finta di niente di fronte a uno ‘scheletro’ di 40mila metri quadrati come le ex Fonderie, lasciato lì a perdere pezzi.

Abbandonato dal suo proprietario ufficiale, il Comune, nonostante si parli di un suo recupero da un trentennio. Ma anche ‘rivalutato’ negli ultimi anni da coloro che ne sono diventati i residenti ufficiosi: spacciatori, tossicodipendenti e senzatetto. Che con i loro giacigli e le innumerevoli tracce della loro permanenza hanno dimostrato di apprezzare la quiete di quei capannoni in disuso.

Almeno fino ieri, quando i vigili di quartiere, — in una sorta di recinto per cani nascosto tra le piante dell’area incolta che si affaccia su via Santa Caterina — hanno sorpreso un clandestino ghanese pluripregiudicato nel suo ‘monolocale’. Un mini-alloggio creato ad arte in un angolo appartato e quasi invisibile del cortile, con più posti letto e materassi che fanno pensare alla presenza di altri inquilini. Per pavimento, ad impermeabilizzare il suolo, c’erano alcune lastre di plastica, mentre un altro pannello separava la ‘zona notte’ dalla toilette a cielo aperto.

All’esterno, poi, ecco un cancelletto, con tanto di chiavistello, e una piccola discarica abusiva per i rifiuti. Gli agenti, avvisati da un cittadino, hanno anche trovato addosso all’immigrato un tesserino magnetico per le presenze appartenente a un dipendente comunale: il badge era stato rubato lo scorso luglio, e nel fascicolo penale aperto ai danni dello straniero è finita anche l’accusa di ricettazione. La curiosa abitazione, invece, è stata subito smantellata.

Poche ore, però, e una volta passata la paura degli ‘utenti abituali’ per il sopralluogo dei vigili, il via-via nelle ex Fonderie è ripartito. E’ bastata una visita all’interno dei capannoni per rendersene conto e vedere, ancora una volta, in che condizioni versi tuttora il comparto.

Due passi oltre l’ingresso, infatti, ed ecco arrivare due giovani magrebini. Sono entrambi vestiti bene, quasi alla moda, e chiacchierano del più e del meno, manco fossero in piazza. Per nulla turbati dalla presenza di un’altra persona che non conoscono. Poi si allontanano verso il cortile esterno, uno fa una chiamata col cellulare e l’altro si guarda intorno come se stesse aspettando qualcuno per un appuntamento. Un incontro sul cui argomento si potrebbe scommettere ad occhi chiusi.

La telefonata si conclude, i due se ne vanno con aria delusa ed escono dall’area incolta attraverso un muretto che non c’è più. Uno dei tanti ingressi liberi — tra reti tagliate e cancelli che si scavalcano senza problemi — che di fatto rendono l’area accessibile a chiunque.

Anche a dei ragazzini, purtroppo. E passeggiando ancora tra gli stanzoni del vecchio stabilimento ci si ritrova a camminare tra siringhe, flaconcini di medicinali e rifiuti di ogni genere. Nei locali più riparati la presenza di passati giacigli è fin troppo evidente. In un cortile interno ci sono anche un paio di pozzi neri aperti, profondi almeno un paio di metri e privi di qualsiasi protezione.

Uno sguardo verso l’alto, tanto per capire da dove vengono quei lastroni di metallo sparsi qua e là sul pavimento, e i buchi nel tetto tetti non si contano. Quei grossi frammenti, però, sono di cemento-amianto. Sbriciolato, appunto. Puro eternit. Forse il clandestino ghanese ci aveva visto giusto a volersene stare all’esterno, tra gli alberi, lontano da quella pioggia di polvere velenosa.

Eppure gli alberi non mancano nemmeno dentro i capannoni, nelle ex Fonderie. La scena è surreale, quasi suggestiva, con quelle piante alte diversi metri che bucano la copertura per andare a caccia delle luce solare. Tanto per confermare da quanto tempo nessuno muove una pietra là dentro. Ci si potrebbe girare un film di fantascienza, una di quelle pellicole ambientate in un futuro post-apocalittico in cui le forze della natura hanno sfrattato l’umanità e spazzato via la sua tecnologia. Ma anche un documentario sul degrado, perché no.