Roccapelago (Modena), 22 giugno 2011 - Una «scoperta eccezionale», non si sono stancati di ripetere gli esperti, riportata in vita dopo secoli d’oblio. Una comunità intera dell’alto Appennino modenese, vissuta tra il Cinquecento e il Settecento, ha rivisto la luce grazie ai recenti scavi archeologici che hanno interessato la chiesa della Conversione di San Paolo, nella frazione Roccapelago di Pievepelago. Le campagne di scavo, condotte sotto la direzione della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia Romagna, hanno permesso di ritrovare sotto il pavimento in pietra della chiesa circa 300 corpi inumati, di cui un centinaio mummificati, un caso unico per l’Italia settentrionale.

La notizia dell’importante scoperta è stata resa nota ufficialmente, in una conferenza stampa, dove hanno preso la parola, tra gli altri, Filippo Maria Gambari, soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, Andrea Landi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, Giorgio Gruppioni, antropologo dell’Università degli studi di Bologna, sede di Ravenna.

L’eccezionalità del ritrovamento sta nel ‘congelamento’, o per meglio dire nell’ ‘essicazione’ naturale che le decine di corpi hanno subito nei secoli, grazie alle condizioni climatiche particolari dell’ambiente in cui sono stati ritrovati: una cripta situata nella parte orientale della chiesa, utilizzata come fossa comune tra il XVI e il XVIII secolo.

 Le mummie, deposte l’una sull’altra e generalmente avvolte in sudari, conservano ancora pelle e capelli, un abbigliamento comune composto di tunica e calze, e crocifissi, medagliette votive, anelli, semplici bracciali, perfino una rara lettera ‘componenda’, utilizzata per attrarre la protezione divina. A tornare in vita è quindi una comunità intera, fatta di uomini, donne, anziani e bambini, con i suoi usi e costumi, le sue tradizioni e credenze, oggi oggetto di studio nel Laboratorio di Antropologia di Ravenna, dove archeologici e antropologi cercheranno di ricostruire vita, cause di morte e peculiarità genetiche dei defunti, e, perché no, i loro stessi volti.