Modena, 7 giugno 2012 - SI DICE che la baracca di Primo Levi fosse verso il fondo, una delle ultime. «Secondo tanti testimoni dell’epoca», racconta Marzia Luppi, una che la storia dell’ex campo di concentramento di Fossoli la conosce a menadito. «Pietra dopo pietra», assicura.
Da quando le SS nel ’43 lo ribattezzarono ‘Polizei und Durchgangslager’, passando attraverso la parentesi Nomadelfia, fino al ‘Villaggio San Marco’ dei profughi giuliano/dalmati.
Il destino ha voluto salvare quel capanno dall’onda d’urto dei terremoti che hanno flagellato l’Emilia in queste settimane. È stato sfregiato, ma meno degli altri. Quasi un segno di rispetto per l’autore di ‘Se questo è un uomo’. Caso eccezionale, purtroppo, in quel fazzoletto di terra intriso nella storia e colpito in modo grave dal sisma: «I danni sono davvero tanti — fa notare Luppi, direttrice della ‘Fondazione Fossoli’ —, già il 20 siamo venuti a vedere e c’erano stati alcuni crolli. Dopo le successive scosse del 29, hanno interessato tutte le baracche. Nessuna esclusa. In modo particolare quelle delle guardie. Anche una parte della chiesa costruita dagli istriani è venuta giù. Il campo di Fossoli è cambiato, molto. Fa effetto. Speriamo poi che non ci siano altri terremoti».
 

Certo viene da chiedersi se abbia senso trattare di un luogo già segnato dal tempo in un momento del genere (le strutture non erano certo in ottime condizioni prima del 20). Ma la riflessione sul patrimonio di Fossoli ci sta tutta. Perché quel campo è stato l’unico in Italia. Da lì passarono più di 5mila prigionieri politici e razziali deportati dal nostro Paese per finire ad Auschwitz o a Mauthausen. «Tesoro storico che non ha eguali», che ora non si sa bene per quanto tempo resterà chiuso alle scolaresche e non solo, che ci metterà mesi ma forse anni per tornare ad avere la propria forma. Un patrimonio a rischio, in parole povere. «Di anni però non voglio sentir parlare — replica convinta la direttrice della Fondazione —. Sicuramente fino a dopo l’estate non riapre, poi in un certo senso si può vedere il bicchiere mezzo pieno...». Sì, il destino sembra aver dato anche un secondo segnale.
 

Proprio il 29 maggio, mentre le scosse tornavano a far paura, è stata messa la firma su una convenzione tra la Fondazione e quattro università di architettura (Bologna, Milano, Venezia e Genova). Un patto che era stato stabilito nei mesi scorsi per dare modo a degli esperti di attingere alla documentazione dell’ex campo di concentramento e poi provare a ‘ricostruirlo’ seguendo le originarie strutture.
 

«Ci vuole gente specializzata per una cosa del genere, con i nostri volontari non era certo possibile». Un percorso di recupero inserito adesso in un quadro ben differente. Complicato, a dir poco. «Questo progetto è stato deciso prima dei terremoti. Era una riqualificazione che partiva da ben altre basi. Ora molto dipende da quanti fondi saranno messi a disposizione — ammette Luppi — e pensando a quello che il terremoto ha fatto in questa provincia... C’è da aggiungere un’ultima cosa. I muri che si staccati a Fossoli sono finiti a terra in molti casi quasi integri. Come fossero dei Lego. Gli esperti hanno dunque a disposizione tutto il materiale necessario per rimettere in sesto questo luogo. So che oggi ci sono cose importantissime da ricostruire, ma l’uomo non si ciba di solo pane...».

di Francesco Vecchi