Modena, 21 ottobre 2013 - FORSE pensavano di averla passata liscia o forse, come invece sostengono loro, non si aspettavano di essere denunciati perché «non hanno fatto nulla». Fatto sta che quando i carabinieri hanno chiesto di prelevare il loro dna — nei giorni scorsi, a due mesi dal presunto stupro — per confrontarlo con le tracce biologiche sulla biancheria della 16enne, sono caduti dalle nuvole. Una doccia fredda anche per le famiglie, tutte della ‘Modena bene’ e, a quanto trapela, piuttosto severe sull’educazione dei figli. Se siano loro — i quattro 18enni e il 17enne indagati dalla procura — i responsabili di un abuso di gruppo durante una festa in villa a inizio agosto, lo diranno gli esami del Ris. Intanto i liceali, incensurati, preparano la loro difesa. C ’è già chi nega qualsiasi coinvolgimento dicendo di non essersi accorto di nulla e chi, invece, racconta una realtà diversa dei fatti. Che, messi nero su bianco dalla minorenne, parlano di una violenza a turno. «Nessuna violenza» avrebbe riferito uno dei ragazzi confermando invece effusioni, a suo dire «consenzienti». «Si è appartata, in momenti diversi, con tre ragazzi ma nessuno l’ha costretta» questa in sintesi la versione di uno dei giovani coinvolti. Gli accusati avrebbero descritto in modo diverso, non soltanto i fatti, ma anche il contesto. Nessuna porta chiusa a chiave, ma uno spogliatoio con docce (in uso alla piscina della villa privata) dove c’era un continuo via-vai di giovani. Qui le testimonianze giocano un ruolo chiave. I carabinieri ne avrebbero già raccolte alcune che confermano, invece, la versione della vittima, la quale sarebbe stata vista uscire dal bagno disorientata e mezza svestita. Era serena, è rimasta a chiacchierare con gli altri anche dopo il presunto stupro, avrebbe invece sostenuto uno dei cinque indagati, lo stesso che ha poi spiegato di aver visto la giovane nei giorni successivi senza che gli venisse contestato nulla. Anzi si sarebbero salutati come sempre. Versioni, soltanto versioni e parole che adesso vanno provate.
 

E SE L’ACCUSA è già al lavoro — si attendono i risultati sui tamponi salivari — ora toccherà alla difesa, ai legali dei giovani provare che, invece, non c’è stato nessun reato. Da quanto trapela, tra i cinque c’è chi è preoccupato, non tanto perché si sente colpevole ma perché si sente catapultato all’improvviso in un guaio giudiziario più grande di lui. Devono convivere con una accusa pesantissima (rischiano dai 6 ai 12 anni di carcere). E anche con le reazioni di una città intera sotto choc.
 

DI FATTI come quelli descritti, per di più tra giovani benestanti e, all’apparenza, senza problemi, non se ne ha memoria recente. «Fatti gravissimi» dicono le istituzioni. Ma non solo questo. «Non è solo un fatto grave, è qualcosa di più — scrive Caterina Liotti, presidente del consiglio comunale di Modena — perché aggravato dalla giovane età dei ragazzi coinvolti e dall’amicizia che intercorreva tra loro e dall’atteggiamento che i violentatori hanno tenuto dopo il fatto (secondo la ricostruzione dell’Arma, avrebbero deriso la vittima e si sarebbero vantati, ndr). Di fronte a tutto questo non bastano le statistiche (il numero delle violenze sulle donne è aumentato spaventosamente) e nemmeno le leggi e le pene più severe recentemente approvate dal parlamento. Bisogna mobilitare le coscienze e rafforzare un coraggioso impegno di tutti, istituzioni, scuole e famiglie. Come dimostrano — conclude Liotti — anche le più recenti buone pratiche messe in campo nel nostro territorio è fondamentale la prevenzione attraverso la diffusione più capillare di percorsi educativi in età scolare, non lasciare sole le vittime, sostenerle nei loro percorsi di denuncia e aumentare la collaborazione tra i soggetti coinvolti: forze dell’ordine, tribunale, associazioni antiviolenza, pronto soccorso e servizi sociali affinché — spiega la presidente — questi reati siano riconosciuti e non restino impuniti».
 

LA VITTIMA, che si è presentata in caserma con la madre il giorno dopo la festa, avrebbe ripreso la sua vita di sempre cercando, per quanto possibile, di dimenticare, sostenuta da famiglia, amici e da una psicologa specializzata che l’ha affiancata durante la testimonianza ai carabinieri. E sostenuta anche dalle istituzioni, sindaco Pighi in primis, che ha condannato «fermamente» l’accaduto.

Valeria Selmi