Modena, 3 maggio 2014 - «COLPA» del Comune, che non ha fatto i conti con la normativa vigente, ma anche dei gestori dei chioschi, che avrebbero dovuto rendersi conto a priori di essere gli esecutori di un progetto illegittimo. Queste, in sostanza, le motivazioni alla base del rigetto, da parte del Tribunale del Riesame, del ricorso presentato da amministrazione e concessionari contro il sequestro dei cantieri nel parco delle Rimembranze.

Secondo i giudici, i titolari delle baracchine, nonostante i diversi permessi ottenuti negli anni per iniziare i lavori, da parte di tecnici e Soprintendenza, avrebbero dovuto, pur perdendo le concessioni, rifiutarsi di andare avanti. Nelle motivazioni, inoltre, si sottolinea la «sconcertante» volontà dell’amministrazione di procedere con un progetto palesemente contrario alla normativa che tutela il parco. «I permessi a costruire rilasciti dal Comune di Modena appaiono illegittimi in quanto volti a consentire un’attività edificatoria vietata in quell’area dalle norme edilizie comunali, in particolare dall’articolo. 13.21 della normativa coordinata del Psc – Poc –Rue», si legge testualmente.

Articoli che vietano dunque, come sottolineato dagli esposti presentati in Procura da Italia Nostra e sucessivamente dagli ambientalisti, l’inserimento nel parco di edifici in elevazione, consentendo esclusivamente manufatti di servizio come gazebo e i piccoli depositi per attrezzi, non in muratura. Inoltre, secondo i giudici, i gestori avrebbero dovuto accorgersi subito che qualcosa stonava in quel progetto, nonostante l’avallo di architetti, archeologi e tecnici comunali.

«Sulla base degli atti versati nel fascicolo — si legge ancora — non è possibile escludere la sussistenza in capo ai ricorrenti gestori dei chioschi, il coefficiente soggettivo richiesto per integrare il reato urbanistico. Agli atti risulta che i privati ricorrenti hanno seguito l’iter procedimentale indicato dal Comune per l’acquisizione del permesso a costruire e delle convenzioni, ma non è possibile affermare che gli stessi siano immuni quantomeno da negligenza, affidandosi agli atti di assenso dell’ente a fronte di progetti palesemente in contrasto con la normativa edilizia dei parchi nei centri storici».

I giudici rincarano poi la dose, sottolineando come gli stessi gestori avrebbero dovuto rendersi conto delle irregolarità, dal momento che pure i cittadini senza competenze in merito, se ne sono accorti. L’ipotesi del tribunale, nei confronti dei gestori, è infatti quella di «incauto affidamento del privato, a fronte di una violazione normatva edilizia evidente a un ‘quisque de populo’, ovvero a chiunque». Quel che ora tutti si chiedono, dunque, è cosa ne sarà del parco. L’assessore Stefano Prampolini ha spiegato ieri che il confronto con i gestori è aperto e che si va verso una soluzione, dal momento che ‘in ballo’ ci sarebbero svariate alternative.

Nei giorni scorsi, infatti, si è tenuto un incontro tra i legali dei gestori e gli avvocati del Comune: l’obiettivo è trovare un accordo condiviso per superare l’impasse. Un modo c’è ed è, in sostanza, fare un passo indietro. Esiste infatti una norma, l’articolo 181 del codice dei beni culturali, che recita: «La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che intervenga la condanna, estingue il reato». Insomma, se il Comune ripristinasse la situazione abbattendo in tutto o in parte i chioschi, uscirebbe pulito dall’inchiesta. Un altro strumento normativo è quello del dissequestro condizionato al ripristino. Ormai non c’è più tempo, la stagione estiva, malgrado il meteo, si avvicina.

Valentina Reggiani
Valentina Beltrame