Modena, sexy chat di ragazzine. "Presto prenderemo chi ha pubblicato le foto"

Parla del caso il comandante della polizia postale

Geo Ceccaroli, comandante della polizia postale dell’Emilia-Romagna, che indaga sul caso delle ragazzine

Geo Ceccaroli, comandante della polizia postale dell’Emilia-Romagna, che indaga sul caso delle ragazzine

Modena, 11 novembre 2017 - Le ragazze della sexy chat collettiva stanno ora vincendo la loro ritrosia più grande: confidare ai genitori quel segreto estivo, il contenitore di immagini e video provocanti costruito su Whatsapp, con le loro foto nude e video con momenti di autoerotismo poi confluito su Internet in cartelle con nome e cognome. Non solo: le studentesse delle scuole superiori di Modena, prese per mano da mamma e papà, hanno cominciato a chiedere giustizia. Perché loro, come minorenni, agli occhi della legge risultano vittime. Lo conferma Geo Ceccaroli, comandante della polizia postale dell’Emilia-Romagna: «Alcune giovani, accompagnate dai loro genitori, hanno cominciato a sporgere denuncia ai nostri uffici».

Comandante, avete bloccato il link che porta alle immagini delle ragazze?

«Sì: già mercoledì la polizia postale di Bologna ha chiesto al gestore dello spazio web l’interdizione al collegamento con la cartella e il congelamento dei dati collegati. Il gestore lo ha bloccato».

C’è chi ha notato negli ultimi giorni uno stop e poi una ricomparsa delle foto sul web. Potrebbe esserci qualcuno che sta già manovrando questo link su Internet?

«Le nostre indagini sono partite da una segnalazione di un link a una sessantina di cartelle, già stoppato. Non possiamo però escludere che le immagini, eventualmente condivise tra più persone, possano ricomparire».

Che tipo di materiale avete visionato?

«Non si tratta di immagini tutte a sfondo pedopornografico o erotico. Per la maggior parte sono innocenti, se possiamo definire così foto in cui sono in bikini. Poi c’è una parte a sfondo più intimo».

Quali sono le ipotesi di reato configurabili in questi casi?

«Violazione della privacy per chi ha immesso le foto senza consenso, con una pena dai 6 ai 24 mesi; detenzione di materiale pedopornografico che prevede la reclusione fino a tre anni; diffamazione nei casi in cui dalla pubblicazione in rete derivi un’offesa, con ipotesi di reclusione da sei mesi a tre anni. Le prime due ipotesi sono perseguibili d’ufficio, l’ultima no».

È lontana l’individuazione di chi potrebbe aver pubblicato il materiale?

«Stiamo lavorando. Credo che non passerà molto tempo».

Come si possono tutelare le minori?

«Il danno è drammatico se associato a nome e cognome, perché sulla rete queste foto potrebbero emergere anche in futuro da una qualsiasi ricerca. Per proteggerle il riserbo dev’essere assoluto. È giusto non colpevolizzare. Sono per primi gli adulti a pubblicare in modo disinvolto le proprie foto».

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