Lago Santo, lite infinita sul rifugio

Confini e burocrazia: tutto bloccato. I proprietari contro Barga (Toscana), deciderà la Cassazione

Il rifugio Marchetti

Il rifugio Marchetti

Lago Santo (Modena), 5 gennaio 2018 - Sconfitto in appello solo pochi giorni fa, a Giorgio Ballestri, a lungo gestore dello storico rifugio Marchetti al lago Santo, restano ora due strade: la Cassazione o il ricorso al commissario degli Usi Civici. Che sono i ‘proprietari’ della struttura ai quali, secondo il giudice, Ballestri dovrà pagare 15mila euro di arretrati, dopo esser stato sfrattato nel 2015 come un moroso qualsiasi. La vicenda ha però radici lontanissime e il rifugio - costruito nel 1936 per attirare i nobili in villeggiatura in paesaggio montano da sogno, tra Emilia e Toscana - sembra ormai imprigionato in un limbo di paradossi giuridici che due anni fa lo ha costretto alla chiusura. In virtù di una legge che ha 90 anni suonati, generata dalle scaramucce dei signorotti del ‘500.   

Mezzo millennnio fa quella zona se la litigano le famiglie nobili emiliane protette dagli Estensi e quelle fiorentine sotto l’ala dei Medici: pascoli che son di tutti e di nessuno, dove ha ragione il più forte. I potenti Savoia cercano allora di mediare. Viene chiamato un giurista super partes, che decide di non decidere: «Pascolerete ad anni alterni». E’ l’inizio della fine, perché la sentenza genera un ‘mostro giuridico’: gli Usi Civici. Cioè un ente, formato da un comitato eletto dal popolo, chiamato a gestire i possedimenti dei signori in cambio della loro protezione. Liti e dispetti continuano per secoli, ma è solo nel 1927 che nasce una legge ad hoc per gli Usi Civici e una via giuridica slegata da quella ordinaria. Un disastro. Anche perchè la famiglia Marchetti quando costruisce il rifugio - destinato poi a diventare un punto di riferimento turistico - non sa che quel terreno appartiene agli Usi Civici del vicino Comune toscano di Barga, confinante con quello modenese di Pievepelago. Non lo sanno nemmeno gli Usi Civici. 

Ma le cose peggiorano nel 1986: le due Regioni per chiudere la faccenda definiscono i confini dei due Comuni vicino al lago, e di 900 ettari totali 700 vanno a Barga e 200 a Pievepelago. I motivi di questa decisione che favorisce la Toscana restano un mistero. Nel 1991 Giorgio Ballestri, dopo la morte dello storico proprietario Tullio Marchetti, rileva i diritti sull’immobile per poterlo gestire: risulta a tutti che il terreno sia del Comune di Barga, che intanto lo aveva affittato impropriamente a una società. Ballestri con una prima causa riesce a sfrattarla, ma in quegli anni emerge la magagna: l’area sotto il rifugio in realtà è degli Usi Civici di Barga, non del Comune. Ma il nuovo referente, un ente dimenicato da tutti, ha la legge del ‘27 dalla sua e s’impunta: vuole un ‘affitto’, che in realtà è una concessione, per lasciare la gestione a Ballestri, che nel 2000 pur di continuare firma un contratto da un milione di lire al mese, poi aggiornato a 800 euro.  Il primo decennio scorre via liscio, poi la crisi inzia a mordere e arrivano anche le frane a chiudere la principale via d’accesso al rifugio, per metà del tempo tra il 2011 e il 2015. Ballestri non riesce più a pagare nonostante incassi 96mila euro vincendo un’altra causa contro il Comune per danni precontrattuali. E i giudici nel 2015 decidono per lo sfratto, equiparando sia in primo che in secondo grado la concessione a un affitto. E’ ciò che Ballestri contesta, ritenendo che a decidere dovrebbe essere un commissario speciale che tratta a parte la sfera giuridica degli Usi Civici: ce n’è uno a Bologna. 

Nel frattempo l’approccio del Comune di Pievepelago, che con la chiusura del rifugio sta rinunciando a un indotto importante, è stato pilatesco. «E’ una questone privata«, l’ha liquidata in fretta il sindaco.  Per abolire gli Usi Civici ci vorrebbe una legge, è vero, ma in realtà è ancora percorribile anche la strada delle mediazione. Basterebbe portare al tavolo il comitato che gestisce gli Usi, che a ogni modo non ha le risorse per far funzionare il rifugio, e trovare un accordo. Magari con la presenza autorevole delle due Regioni, che nel 1986 hanno fatto il guaio e ora non trovano il tempo per rimediare. Ci sta provando l’ex senatore modenese Carlo Giovanardi a fare pressioni su tutti gli attori, ma è evidente che in questa storia anche le ruggini dei campanilismi sul confine tosco-emiliano hanno il loro peso.