Modena, voleva darle fuoco. Oggi è di nuovo libero

Il centro anti violenza: "Storie comuni, purtroppo"

Violenza sulle donne (foto repertorio)

Violenza sulle donne (foto repertorio)

Modena, 25 novembre 2017 - Si è dovuta nascondere perché, nonostante le misure adottate inizialmente nei confronti dell’ex, lui ora è libero come l’aria. Eppure, qualche tempo fa, girava con le taniche di benzina in auto dopo averle detto: «Do fuoco a te e al nostro bambino».

Secondo la maggior parte delle associazioni che, sul nostro territorio, assistono e proteggono le donne vittime di violenza, gli strumenti legali per tutelare sono ancora assolutamente insufficienti e inefficaci, tanto che più volte i gruppi di sostegno si sono attivati per nasconderle. A lanciare l’allarme e a chiedere che le istituzioni si muovano anche per accorciare i tempi dei procedimenti, adottando nel frattempo misure più severe sono le operatrici di accoglienza del centro anti violenza (di via del Gambero), che spiegano come dimostrare la persecuzione non sia facile e lo sia ancora meno arrivare ad una pena certa. «Mi occupo di inserirle in protezione – afferma Anna, operatrice del centro – negli ultimi mesi ne abbiamo nascoste nei nostri rifugi sul territorio almeno 13, il 70 per cento donne. Molte, però, non accettano di restare isolate poichè si devono occupare dei propri figli e, per questo, continuare a lavorare. Tra gli ultimi casi che ho seguito – spiega – c’è stato quello di una giovane mamma e del suo bambino di un anno. Lui l’ha chiamata, le ha detto: do fuoco a te e al bambino ed era già stato denunciato per maltrattamenti e violenze. I carabinieri gli hanno trovato le taniche in auto: era pronto per colpire. Poi c’è stato l’arresto e i domiciliari ma ora è a piede libero. Quando era in carcere ci siamo battute poichè il giudice gli aveva acconsentito, pur davanti alle minacce, di vedere il bambino. Lei sta seguendo un percorso psicologico; ha paura ed è distrutta».

Anna spiega come tanti siano recidivi e, dopo i provvedimenti adottati inizialmente, come l’allontanamento, rimettano in atto gli stessi comportamenti violenti e persecutori. «Nella maggior parte dei casi sono ex compagni o ex mariti – spiega – lo stalking è una fase finale di una relazione che finisce e che non viene accettata o responsabilmente elaborata dal maltrattante. Ho trattato anche relazioni di un mese e altre che andavano avanti da dieci anni. I segni erano evidenti: atteggiamento ossessivo compulsivo e, soprattutto, mania di controllo. Ma questi atteggiamenti, all’interno di un rapporto, vengono inizialmente percepiti come parte dell’innamoramento. Invece sono campanelli d’allarme, come il controllo del cellulare della donna, dei social, il tentativo di isolarla dalle amicizie. Qualsiasi delirio di gelosia è rischioso. E pensare che, prima di parlare di atti persecutori, per legge ci deve essere stata una relazione di almeno tre mesi. Il problema è che queste donne vivono nel terrore per troppo tempo». Anna fa presente infatti come, anche provvedimenti come l’ammonimeno o l’allontanamento dalla vittima non siano sufficienti a tutelare le vittime. «C’è ancora troppo garantismo verso la persona denunciata – spiega – mentre la donna resta nel limbo del processo. Sono tanti i casi di donne che preferiscono rischiare la propria vita piuttosto che perdere il lavoro, quindi rinunciano a situazioni di protezione. Il problema è che non ce ne dovrebbe essere bisogno di doverle nascondere: le istituzioni dovrebbero intervenire prima».