Savignano sul Panaro (Modena), 20 aprile 2014 - Olindo Zambelli, operaio a cottimo, la trovò nel 1925 mentre scavava nella proprietà “del signor Rossi Vincenzo detto Bandiera” a Mulino di Savignano, pochi chilometri da Vignola. Dalla terra sbucò quella figurina, fatta di roccia, e lui la credette un’arma antica. La fece vedere al veterinario, che la passò al segretario comunale, ma nessuno ci capì niente.

Olindo la rimise in cantina e la moglie voleva buttarla via, ma Giuseppe Graziosi, noto artista che aveva già partecipato alla Biennale di Venezia, intuì che quell’oggetto non era un semplice pezzo di pietra, lo ‘comprò’ in cambio di due quintali d’uva e a Roma lo consegnò a Ugo Antonielli, direttore del Reale Museo Preistorico Pigorini: la “Venere di Savignano” (VIDEOfu riconosciuta come una straordinaria testimonianza di un’epoca antichissima, almeno 25mila anni fa, «la più bella per esecuzione e la più grande fra quante del genere erano state finora ritrovate».

La Venere entrò quindi nelle collezioni del Museo Pigorini, fu studiata e analizzata, e Roma divenne la sua nuova casa. A Modena fu esposta solo un paio di volte, nel 1965 e nel 1989, e il professor Benedetto Benedetti, appassionato direttore del Museo Civico, sognò invano di poterla acquisire.

A Savignano non era mai tornata: a quasi 90 anni dal ritrovamento, il desiderio è stato esaudito e la Venere, solo per pochi giorni, fino al 4 maggio, fa bella mostra di sé al Museo (a lei intitolato) al Centro Civico di via Doccia.

Alta 22 centimetri e scolpita nel serpentino, la Venere viene ascritta al Paleolitico superiore, e in particolare al Gravettiano, ovvero fra 28mila e 21mila anni fa. Era l’epoca della maggiore espansione dei ghiacciai nell’Europa settentrionale: «Dobbiamo pensare a un continente abitato al massimo da diecimila persone — spiega Margherita Mussi, archeologa della ‘Sapienza’ di Roma —. Erano piccolissimi gruppi persi in un territorio deserto. Forse le Veneri, trovate in varie parti d’Europa, erano i simboli di contatti fra loro».

Della Venere di Savignano hanno sempre colpito le forme morbide che ricordano i seni e il ventre di una donna in dolce attesa, ma senza testa e senza piedi: le estremità della statuetta sono affusolate.

«Ha una plasticità che attira – osserva Alessandra Serges, referente della sezione preistoria del Museo Pigorini e curatrice della mostra –. C’è una lettura che ne vede ovviamente una raffigurazione della maternità, ma alcuni studiosi vi scorgono elementi maschili uniti alla figura femminile, quasi un doppio genere». Non sappiamo chi l’abbia scolpita e dove, e non sappiamo come sia spuntata in questo angolo d’Emilia. Il mistero della Venere resiste ai millenni: «Non riusciamo oggi a decodificarne il vero significato — ammette la dottoressa Serges — perché non conosciamo il sistema sociale e di pensiero delle genti di quell’epoca».

Stefano Marchetti