Vasco, c’è chi dice no. Ma non è colpa di Alfredo

L’amico che ha ispirato la celebre canzone: "Il suo show a Modena è un regalo"

Vasco Rossi in concerto

Vasco Rossi in concerto

Modena, 23 aprile 2016 - «Sono quello che si prende sempre la colpa». Eh sì, perché se nei romanzi gialli la colpa è del maggiordomo, per i fan di Vasco – e in generale per tutti quelli che amano il rock – il colpevole per eccellenza è lui, Alfredo.

Dall’altra parte del telefono c’è l’uomo incastonato in un titolo diventato leggenda, quello della canzone del Kom che nel 1980 fece discutere al punto da essere censurata («versi maschilisti e razzisti», si disse). «Mi chiamo Andrea Giacobazzi – ci racconta – e quel brano parla anche di me». Ci contatta perché, secondo lui, stavolta è colpa di qualcun altro: di «quel gruppetto del no» che si lamenta per il concertone che Vasco terrà al parco urbano di Modena, il prossimo anno, per festeggiare i 40 anni di carriera.

«Quando leggo queste cose sto male – dice con una voce che nel tono e nell’inflessione ricorda molto quella del suo celebre amico – Questo show è fatto col cuore». Forse per ripagare il vecchio debito – per chi non lo sapesse ha fatto perdere a Vasco una tenera notte – quando ha visto montare le polemiche non è riuscito a trattenere l’amarezza: «Ma sapete quante città vorrebbero un evento del genere?». E infatti gli imolesi si sono già buttati nella mischia: «A Modena ci sono problemi? Facciamolo qui, siamo pronti».

«Modena è casa nostra – racconta Giacobazzi –, quando l’organizzazione del concerto ha messo a punto lo show per i 40 anni, Vasco non stava nella pelle. L’ha annunciato in anticipo, non è riuscito a trattenersi. È questo il posto dei ricordi».

E i ricordi, tradotti in versi, sono il testo di “Colpa d’Alfredo”. Tuffiamoci nella canzone. Vasco è in un locale, insieme al suo amico Andrea, Alfredo per il resto del mondo. Giacobazzi e Rossi si conoscono da sempre: quando erano bambini passavano del tempo insieme a Zocca, sull’Appennino, il paese natale del Blasco. E dopo hanno continuato a «fare serata», fra club e locali. «Quella volta dovevamo partire per il mare: l’autostrada era a due corsie, ci voleva un bel po’ per arrivare», racconta Andrea.

Vasco aveva «puntato» una ragazza molto carina, non facciamo il nome perché nella canzone non viene usata un’etichetta particolarmente simpatica: è la «tr...a» che fece tanto arrabbiare la censura. Voleva portarla a casa («che poi non la portavo mica a casa», rassicura tutti Vasco nella canzone).

Ma Alfredo/Andrea, che gli amici descrivono come un gran oratore, inizia a parlare. E parla, parla, parla, facendo perdere «con i suoi discorsi seri e inopportuni», il treno al komandante. Lei, infatti, sta uscendo dal locale con un altro, il famoso “negro”.

Che – attenzione – «negro non è – confida Giacobazzi –. È un nostro amico, scuro di pelle e coi capelli nerissimi, che chiamavamo in quel modo». Nero, invece, sembra l’umore di Vasco, quando torna a casa e prende la chitarra: un accordo dopo l’altro, il rocker mette in fila un pezzo che, se nella sua carriera rappresenta l’ultimo insuccesso prima del boom (l’anno dopo esce l’album “Siamo solo noi” che lo fa entrare nella top ten), nel tempo è riuscito a diventare una pietra miliare per i suoi fan e non solo. Oggi, se non si sa a chi dare la colpa, la si dà ad Alfredo. Ma Alfredo alias Andrea, quel peso, lo porterà con orgoglio tutta la vita.