Modena, 10 ottobre 2015 - Sulla parete esterna due date in numeri romani, MCMXII e MCMXXIX, 1912 e 1929, e una scritta ‘Centrale termica’. Sul portone è rimasto un cartello con una freccia, ‘Contatori acqua e gas’: sull’altro lato, quello che si affaccia sul parcheggio, un’altra insegna più moderna, ‘Reparto progetto costruzioni, Impianti elettrici’. Archeologia industriale: da molti anni, qui non ‘abita’ più nessuno. Come tanti fabbricati dall’area ex Amcm, anche la ex centrale Aem, da cui si alimentava tutta la rete di tram cittadini, è un segno di memoria antica, scivolato lentamente nel degrado e nell’abbandono.
Qualcuno forse ci ha anche trovato un rifugio temporaneo.
Per qualche giorno, la prossima settimana, tornerà a vivere, a pullulare di piccole storie ed emozioni. Nell’ambito di Vie, il festival internazionale di teatro promosso da Ert, proprio qui dentro verrà allestita una particolare installazione sensoriale, Dopo: non un vero e proprio spettacolo, quanto un’esperienza da compiere per andare alla scoperta anche di se stessi. A idearla e realizzarla è Gabriella Salvaterra, artista e performer modenese, che da alcuni anni vive fra Barcellona e il Cile: da 16 anni è al Teatro de los Sentidos, assistente di Enrique Vargas che proprio qui a Modena – ed era il 1997 – propose il suggestivo labirinto di Oracoli che molti ricordano ancora (per l’enorme numero di richieste, dovette aggiungere un mese di repliche). «Qui non ci sono attori e spettatori, quanto piuttosto abitanti e viaggiatori – spiega Gabriella Salvaterra –. Per ognuno, questo deve diventare un viaggio intimo, personale, in cui anche perdersi».
Hanno dovuto lavorare moltissimo (e stanno ancora facendolo) per ripulire i locali da sporcizia, materiali abbandonati, scartoffie e quant’altro. Al piano superiore, fino a poco tempo fa, c’erano gli spazi di Drama Teatri, ma il piano terra è sempre stato sostanzialmente in disuso. «Ho pensato un lavoro specifico per questi spazi che abbiamo reinterpretato, confidando sul potere dell’immaginazione», aggiunge l’artista.
I partecipanti potranno e dovranno lasciarsi anche sorprendere e spiazzare, fra scale, salette, spazi di oscurità e di silenzio, odori evocativi, e qualche incontro con gli attori, temporanei ‘abitanti’ di questo luogo. Dopo sarà dedicato al tema della rottura, «e di tutte le rotture che ognuno di noi ha nella sua vita – anticipa Gabriella Salvaterra –. Qualcosa si può riparare».
Si entra da un portone, si esce dall’altro: in mezzo ci sono salite e discese, vecchie scale di legno, cumuli di cassetti e di valigie, il passaggio per un lungo corridoio e una sosta in un salone pieno di vasi, catini, bacinelle e caraffe, come a dover raccogliere acqua. Uno specchio, una camera da letto: sarà anche un gioco di spaesamento. «Ognuno potrà riflettere su ciò che può ‘aggiustare’ nella sua vita», dice l’artista. E viene da pensare che fra le cose che si possono riparare c’è anche questo luogo, questa vecchia centrale: porta con sé il peso e l’onore dei suoi anni, ma vuole riemergere da un troppo lungo oblio.