«Così abbiamo stanato il virus Hiv. Ora lavoriamo tutti per annientarlo»

Alessandra Recchia nel gruppo che ha fatto la grande scoperta

Alessandra Recchia, ricercatrice modenese, si è formata anche in Canada

Alessandra Recchia, ricercatrice modenese, si è formata anche in Canada

Modena, 4 marzo 2015 - UNA scoperta che sicuramente entrerà nella storia e che è legata al lavoro di anni, alla fatica e alla passione di una figura fondamentale ma in Italia poco ‘appoggiata’, quella del ricercatore. Arriva infatti da Trieste e dal nostro Ateneo la risposta che tutti attendevano sul virus dell’Hiv. Dai laboratori dell’Icgeb di Trieste, in collaborazione con il Genethon di Parigi e con una studiosa di Modena e il suo gruppo, nasce lo studio che ha permesso di individuare ‘il nascondiglio’ dell’Hiv all’interno della cellula. E’ dall’81, anno in cui si diffuse il virus, che studiosi di tutto il mondo cercano di capire come battere la terribile infezione. Dietro alla ‘rivoluzione’ in campo sanitario c’è sempre la figura del ricercatore e l’Ateneo di Modena e Reggio conta tantissime professionalità. Come Alessandra Recchia dell’istituto di Medicina Rigenerativa, che da anni lavora con un gruppo indipendente.

Dottoressa, si tratta di uno studio fondamentale per combattere il virus.

«Diciamo che apre la strada a nuove possibilità di cura. Lo studio, pubblicato su Nature online, ci ha permesso di identificare le zone in cui il virus ‘si nasconde’ nella cellula per evitare di essere colpito dai farmaci».

Quindi sarà possibile annientarlo?

«Si sta lavorando in tal senso. Il nostro ruolo come Università di Modena è stato quello di verificare dove il virus si localizza, ovvero nel nucleo in cellule CD34. Il lavoro di ‘fish’ (fluorescenza) è stato condotto a Trieste, mentre noi abbiamo lavorato a livello bioinformatico, mappando oltre 30mila siti di integrazioni, cercando di capire se vi fosse una preferenza genica. A quel punto abbiamo stabilito geni preferiti dai virus, scoprendo che si localizzano nella membrana perinucleare delle cellule. In sostanza, abbiamo capito che è l’architettura a determinare la preferenza da parte del vettore Hiv o da parte del virus e che lo stesso si annida in corrispondenza delle vie di accesso al nucleo della cellula. Questo ci porta a capire cosa determini la sua latenza o riattivazione».

Fino ad oggi si è riusciti a bloccare solo lo sviluppo della malattia?

«E’ cosi, perché noi riusciamo ad intervenire coi farmaci sul virus che replica in cellule attive. Per chi lavora su Hiv e Aids, con questa serie di geni identificati, è possibile stabilire invece dove trovare il virus quando entra in fase silente. E’ necessario infatti studiare un approccio per bloccare il problema latenza».

Quando è iniziata la ricerca?

«Quella modenese è partita nel 2011, poi, insieme a Trieste, siamo arrivati in parallelo ad identificare i geni preferiti dall’Hiv».

Sappiamo quando oggi, in Italia, sia difficile il ruolo del ricercatore. Anche la sua strada è stata lunga e tortuosa?

«La mia formazione è stata fortunata ed eccellente perché da subito ho acquisito basi e stimoli per poter fare ricerca. Dopo la laurea in Biologia a Roma, ho svolto tirocinio e dottorato all’istituto di ricerca Irbm Merk, allora diretto dal professor Cortese (noto per il vaccino anti Ebola). L’ultimo anno del dottorato mi sono spostata in Canada, a Toronto ed ho completato la mia tesi di dottorato. Poi sono passata al Tigett di Milano, dove sono stata per sette anni lavorando come contrattista anche per la fondazione San Raffaele. Dal 2005 sono ricercatrice a tempo indeterminato dell’Università di Modena e, dal 2008, mi sono trasferita al centro di medicina rigenerativa per poi fondare, nel 2011, il mio gruppo di otto persone di ricerca indipendente».

Oggi è più difficile fare il suo percorso?

«La mia figura, ricercatore a tempo indeterminato, non esiste più, ma come tanti altri ho concorso alle abilitazioni. Purtroppo oggi i ricercatori universitari non sono aiutati e quelli a tempo determinato di certezze sul futuro non ne hanno. Il ruolo del ricercatore è tra le figure più difficili all’Università. Ho tanti colleghi italiani che lavorano in altre parti d’Europa, dove la loro figura è sostenuta e riconosciuta».