Pantani, parla il massaggiatore: "Marco non era dopato"

Roberto Pregnolato torna sullo scandalo di Madonna di Campiglio: "Aveva 48.6, non 50"

Marco Pantani con Roberto Pregnolato

Marco Pantani con Roberto Pregnolato

Modena, 17 marzo 2016 - «Pantani non sapeva di essere Pantani. Era un atleta di livello mondiale ma, prima ancora, un uomo». Una ‘liberazione’ ma, soprattutto, una conferma a ciò che aveva sempre pensato anzi, saputo. Questo rappresentano per lo storico massaggiatore di Pantani, il modenese Roberto Pregnolato, le rivelazioni della procura di Forlì relative all’intercettazione del detenuto vicino a Vallanzasca. Rivelazioni che spiegano come sia stata la camorra a far perdere il giro a Pantani, cambiando le provette e facendolo risultare dopato.

Il detenuto spiega come l’esclusione ‘pilotata’ di Pantani dal Giro fosse legata a scommesse clandestine, gestite dalla camorra, cosa ne pensa?

«Quello che posso dire è che noi sapevamo che il valore era stato manomesso, alterato, cambiato. Il sospetto era nato fin da subito ed ora questa testimonianza avvalora la nostra tesi».

Da cosa era nato in lei il sospetto della ‘manomissione’ dell’esame quel giorno?

«Posso garantire che l’ematocrito non andava oltre la soglia dei 50, ma si fermava a 48.6. Io ero sempre accanto a lui, ci sono stato per 14 anni e parlo con cognizione di causa. E questo dato era la dimostrazione che qualcosa non quadrava sin dal primo giorno».

Qual’è stato il suo primo pensiero dopo le ‘rivelazioni’?

«Ho pensato che questa verità è la cosa più bella, è la giustizia per Marco, per la sua famiglia, per i suoi tifosi. La stampa gli ha sempre dato addosso; ora nessuno potrà più dire: «E’ stato il doping».

Cosa provò in quei giorni, standogli accanto?

«Io ho sofferto più di ogni altro, perchè lui era inizialmente un atleta, poi è diventato un amico e, negli anni, un figlio. Abbiamo trascorso 14 anni lui a casa mia, io a casa sua e se avevo male alla schiena, era lui a massaggiare me».

Cosa disse Marco dopo lo scandalo che gli piombò addosso?

«So solo che, come me, la prese malissimo, perchè il problema non esisteva. Era sotto i 50 e noi della squadra lo sapevamo. Era nel ‘consentito’. Ora parlare di ‘soddisfazione’ mi fa scappare da ridere, ma aiuta anche questo».

Crede che sia venuto tutto a galla ora, che sia tutta la verità?

«Credo che in fondo non ci arriveranno mai, ma va bene così. Sono contento che un pò di verità sia venuta fuori. La situazione mi fa riflettere anche sulla morte del funzionario addetto al controllo anti doping al Giro d’Italia, caduto in una lastra di ghiaccio. Sarà stata una fatalità. Almeno i genitori di Marco sanno che lui non era come l’avevano descritto; gli è stata ridata la sua dignità. Era una persona felice, serena e loro lo hanno obbligato a diventare triste. Tutti lo amavano; solo un corridore lo ha invidiato, Ivan Gotti. E quando invitai Michele Bartoli, che seguii prima di Marco, ad evitare di fargli la guerra, perchè era il migliore, alla fine ammise anche lui che Pantani era il più forte, nonostante fosse una uomo semplice.

L’ultimo ricordo?

«L’abbraccio, fregandocene di quello che pensava la gente e le lacrime d’amicizia che scendevano sui nostri volti. Noi sapevamo ed ora voglio che lassù gli arrivi la giustizia che merita».