Policlinico, cedimento della palazzina: in sette rischiano il processo per crollo colposo

Inchiesta chiusa: ecco i professionisti contro cui il pm è intenzionato a procedere

I vigili del fuoco davanti alle macerie

I vigili del fuoco davanti alle macerie

 Modena, 17 aprile 2015 - A due anni dal crollo della palazzina in via di ristrutturazione nel complesso del Policlinico, sono sette gli avvisi di chiusura indagine notificati nei giorni scorsi ad altrettanti indagati per cui il pm Marco Niccolini è intenzionato a chiedere il processo. Si tratta di due dirigenti Ausl (il direttore tecnico e il direttore dei lavori), due titolari dell’impresa di costruzioni di Mirandola che doveva ristrutturare l’immobile, il responsabile di cantiere, il progettista e il responsabile del cantiere relativo alla copertura. Benché la palazzina ex Diagnosi e cura crollata il 24 aprile 2013 facesse parte del polo ospedaliero di via del Pozzo, il cantiere dipendeva infatti dall’Ausl di Modena.

Il deposito della consulenza dell’ingegnere Tomaso Trombetti, nomitato dalla procura, risale a due settimane fa. Dopo averla letta, il pm ha deciso di chiudere il cerchio attorno ai sette professionisti (inizialmente gli indagati erano cinque): l’accusa nei loro confronti è crollo colposo. L’ingegnere, scelto dalla procura anche per fare luce sui crolli del terremoto 2012, avrebbe preso in considerazione nel suo studio anche il ruolo ricoperto dal sisma nel cedimento dell’immobile.

Pare che nessuno degli indagati sia intenzionato a chiedere un interrogatorio o a presentare memorie difensive: gli avvocati degli indagati hanno infatti già depositato le risultanze dei propri consulenti di parte che, secondo i legali, parlano chiaro. Si attende quindi la fissazione dell’udienza preliminare da parte del Gip. La palazzina, vuota dal 2010 e oggetto di una ristrutturazione, sarebbe crollata dopo un intervento al tetto che le avrebbe dato il ‘colpo di grazia’. L’edificio era talmente ‘malmesso’ che gli stessi operai della ditta che aveva in appalto i lavori di recupero dell’immobile, l’azienda edile di Mirandola, avevano abbandonato il cantiere e deciso di demolirlo poche ore prima che avvenisse il crollo. Un cedimento che però colse tutti di sorpresa, tanto che nel seminterrato c’erano due addette alle pulizie che rimasero lievemente ferite. Gli accertamenti preliminari avevano rilevato «uno schiacciamento della sommità dei pilastri che reggevano il tetto con fuoriuscita dei ferri dell’armatura, verificatosi nel togliere la copertura longitudinale». Secondo i primi accertamenti, il crollo era ascrivibile «ai nodi del pilastro al piano terra». Il quesito posto al consulente Trombetti era incentrato sul rispetto o meno delle regole della ‘diligenza’ e della ‘buona tecnica’ adottate dagli indagati, tutti coinvolti nell’apertura del cantiere e nei successivi lavori di ristrutturazione. Il reato potrebbe essere derubricato in ‘rovina di edificio’, una contravvenzione che si manifesta se sussiste il pericolo per l’incolumità delle persone, nel caso in specie le addette alle pulizie, e non per l’incolumità pubblica, come previsto invece dal più grave reato di crollo colposo.