Modena, 13 gennaio 2012 - Qunado si mette la testa dentro l’aula del consiglio comunale si ha l’impressione, netta, che qualcosa non funzioni. Come se un ingranaggio non girasse. Si perde tempo dappertutto, intendiamoci: succede a casa, succede a lavorare e in compagnia, con gli amici. Fa parte della nostra natura. Ma in consiglio la perdita di tempo è ‘istituzionalizzata’; a volte si ha l’impressione che le regole la salvaguardino. Un bel problema, perché i consiglieri — come i parlamentari — sono pagati dai cittadini. Ieri su queste pagine abbiamo riportato alcune interrogazioni ‘stravaganti’, discusse quando ormai non c’era più motivo di farlo o accettate in barba al buon senso. Da vertigine scoprire che ogni quesito costa circa 350 euro (è il corrispettivo delle ore di lavoro pagate al personale) alla collettività. Stavolta ci muoviamo partendo da una massima, la vecchia ‘il tempo è denaro’. Quanto tempo si potrebbe risparmiare?

La seduta inizia, si parte con le interrogazioni. Sono quelle finite nel mirino del Carlino ieri; dovrebbero essere usate per fare chiarezza sui problemi della gente, anche le cose più concrete. Spesso invece rappresentano un’occasione ‘mediatica’, un momento dedicato ai consiglieri che si possono mettere in luce. Momento che dura, a conti fatti, almeno dieci minuti: cinque per fare la domanda, cinque per dire se la risposta ha soddisfatto le proprie esigenti aspettative. Forse i primi 300 secondi potrebbero anche tornare tutti utili, perché a volte i quesiti sono complessi e diventa necessario argomentare. Sui secondi, però, qualche perplessità rimane: davvero servono cinque minuti per valutare la risposta? Uno potrebbe bastare, e la platea sarebbe al riparo da inutili ripetizioni.
 

Sulla strada che porta all’appello (alle 16), ci sono anche degli imprevisti: le interpellanze. I consiglieri o un capogruppo possono chiedere alla presidente del consiglio di trasformare l’interrogazione. Tradotto, significa aprire un dibattito. I consiglieri schiacciano un pulsante e prenotano il loro turno. Ognuno ha cinque minuti di tempo per dire la sua sul tema sollevato dal collega. L’esperienza insegna che dibattiti del genere vanno avanti anche per un’ora. E’ capitato — raccontano i consiglieri — di riuscire a discutere solo due interrogazioni prima di passare alle delibere e agli ordini del giorno. Inutile dire che l’interpellanza, interpretata in questo modo, è un’arma infallibile nelle mani di chi vuole fare ostruzionismo. E’ vero, alle 16 la finestra per le interrogazioni si chiude in ogni caso. Ma è tempo prezioso, e non andrebbe buttato mai via. Negli altri Comuni questa modalità di interpellare la giunta manca. Forse, qui, va ripensata.
 

Altro grosso problema, le liste d’attesa. Il Comune, in questo campo, può rivaleggiare con la sanità. I consiglieri che hanno depositato un’interrogazione negli ultimi giorni, dovranno chiamare a raccolta tutta la pazienza che hanno, perché prima di loro ci sono più di cento quesiti. Immaginare, tanto per continuare il paragone con la sanità, un’accettazione che filtri le domande presentate è difficile: chi si prenderebbe la responsabilità di farlo? E poi sarebbe troppo discrezionale. Diciamo che ci vorrebbe semplicemente più buon senso.
 

Altri due nodi, legati però solamente all’aspetto economico, riguardano le commissioni e i gruppi di ‘esuli’. Nel primo caso è il gettone di presenza (72 euro) a pesare. L’accesso a questi gruppi tecnici è libero, anche se l’impostazione del lavoro non è adatta all’affollamento. Si potrebbe, ad esempio, mettere un tetto alle iscrizioni. I nuovi gruppi, invece, pesano sulle casse municipali perché, quando nascono, incassano la dotazione destinata a ogni formazione politica. Se ci fosse un gruppo misto, il problema si presenterebbe una volta per tutte.