"Cardiologia, mia madre morì, ora risarcitemi"

Il figlio di una paziente morta nel 2010 si rivolge al Policlinico di Francesco Vecchi

Caso cardiologia

Caso cardiologia

Modena, 23 luglio 2014  - Il maxi processo, il caso Giovanni Spinella e le richieste di risarcimento avanzate da pazienti o parenti degli stessi. Sono tre in tutto i fronti aperti dopo l’esplosione dello scandalo Cardiologia al Policlinico. Ognuno di diversa natura. L’inchiesta penale, che nel 2012 portò all’arresto di nove medici (tra cui il primario Maria Grazia Modena e l’emodinamista Giuseppe Sangiorgi) ipotizzando i reati di corruzione, truffa al servizio sanitario nazionale, abuso d’ufficio e violenza privata, la settimana scorsa ha visto la costituzione di quattro parti civili (Policlinico, ospedale San Raffaele, Regione e ‘Amici del Cuore’), in attesa che il 16 settembre si torni in aula. Sul fronte Spinella, il presidente dell’associazione Amici del Cuore che per primo presentò denuncia dopo aver subito un’operazione al Policlinico, è stato chiesto il rinvio a giudizio, e dunque siamo ancora in sede penale, proprio per l’emodinamista Giuseppe Sangiorgi. L’ipotesi di reato parla di lesioni colpose. 

Più intricato, e meno conosciuto, l’iter che stanno seguendo i singoli casi sollevati appunto da privati cittadini. Questo terzo capitolo riguarda i presunti episodi di malasanità che nel pieno dello scandalo, in questo caso soprattutto mediatico, vennero portati all’attenzione dell’opinione pubblica (prima della chiusura dell’inchiesta penale del pm Marco Niccolini) e in modo particolare dal Codacons, che li racchiuse in un dossier fatto poi arrivare agli inquirenti, a testimonianza del fatto che qualcosa al Policlinico non andava. Ad oggi, difatti, fatto salvo il caso Spienella che come detto ha un suo percorso slegato dal maxi processo, nessuno di questi presunti episodi di malasanità legati a altrettanto presute sperimentazioni non consentite sui pazienti, ha un avuto seguito penale.

Da quest’ultimo capitolo finora è venuta alla luce una sola vicenda medica che ha portato a un esito specifico. Si tratta di un risarcimento da 400mila euro che l’assicurazione del Policlinico ha riconosciuto ai parenti una 52enne deceduta dopo un intervento eseguito nell’Emodinamica di Sangiorgi. L’avvocato dei parenti, Agostino Ascari, contestava che alla paziente fosse stato fatto firmare all’epoca dell’operazione (2010) un consenso informato inadeguato. Che, in sostanza, la donna non fosse sufficientementea conoscenza dei rischi che avrebbe comportato l’applicazione di uno stent. Il maxi risarcimento non chiarirà mai l’effettiva causa del decesso della 52enne, perché appunto non siamo in ambito penale, ma ha comunque rappresentato la prima chiusura per una di quelle vicende che fecero scalpore all’epoca dell’esplosione dello scandalo. 

È notizia di questi giorni che una seconda richiesta risarcitoria ricollegabile alle attività che avvenivano all’interno della Cardiologia della Modena è stata avanzata al Policlinico. Si tratta, anche in questo caso, di parenti di un paziente deceduto sempre nel 2010, dopo un’operazione. Questa richiesta però è differente dal precedente, perché sul fronte penale non ha avuto seguito, essendo arrivata l’archiviazione. Il legale Andrea De Rienzo, che rappresenta il figlio dell’81enne deceduta, ha contattato l’ospedale contestando anche stavolta carenze sul fronte del ‘consenso informato’. «Nel giugno del 2010 — spiega il figlio dell’81enne — mia madre viene ricoverata in osservazione breve in Cardiologia e durante questo episodio le viene consigliato di effettuare un intervento di valvuloplastica aortica precedentemente richiesto durante una visita specialistica per una riduzione della circonferenza dell’aorta. Al momento del suddetto intervento le veniva sottoposto un consenso informato del tutto generico ed insufficiente che prospettava i rischi che si sono in seguito presentati. In particolare nel corso dell’intervento si verificava un problema all’arteria femorale ed in seguito la perforazione del ventricolo, come da referto autoptico, che portava al decesso all’interno del reparto di Cardiologia. Abbiamo ritenuto — spiega ancora il parente — doveroso dar corso alla procedura di mediazione, istituto peraltro da cui occorre necessariamente passare per legge anche laddove si debba arrivare ad intentare un’azione giudiziale».

Francesco Vecchi