Bottura il re degli chef: “Ecco a voi la mia Bibbia“

La sua tradizione in evoluzione diventa libro

Lo chef Massimo Bottura davanti a La Francescana (Fiocchi)

Lo chef Massimo Bottura davanti a La Francescana (Fiocchi)

Modena, 25 ottobre 2014 - Per diventare lo chef numero uno in Italia, con un tris di stelle Michelin, e uno dei primi tre al mondo, bisogna essere «come un bimbo molto birichino che guarda da sotto il tavolo la cucina della nonna», ride Massimo Bottura.

«Messe sotto vetro, le tradizioni ammuffiscono», sentenzia il patron dell’Osteria Francescana, nel cuore di Modena. Qui fioccano prenotazioni da ogni dove, per assaporare quei piatti che Bottura ha saputo reinventare, senza il timore di sfidare anche i dogmi gastronomici: la spuma di mortadella, il bollito non bollito che evoca lo skyline di New York, o le proteine del Parmigiano che diventano croccanti come un borlengo dell’Appennino e si reincarnano sotto altre vesti.

È quella che lui chiama la tradizione in evoluzione, la chiave della sua filosofia culinaria che ora è distillata anche in un volume, Vieni in Italia con me (nella versione internazionale Never trust a skinny italian chef), una coedizione L’ippocampo - Phaidon che uscirà domani in tutto il mondo. Abbinate ai testi di Bottura, le immagini di Stefano Graziani e Carlo Benvenuto raccontano il percorso ideativo dei vari piatti.

Bottura, però le ricette sono nelle ultime pagine...

«Perché non è un libro di ricette. L’ho pensato come se fosse insieme un tomo dell’Ottocento, la Bibbia e un’opera di Maurizio Cattelan, un libro senza tempo sulla creatività».

Tradizione in evoluzione vuol dire anche ribellione?

«Significa rompere per ricostruire con una mente contemporanea, e guardare il passato in chiave critica, non nostalgica. Dentro i miei piatti ritrovo mia nonna, mia madre, la Lidia della trattoria dove ho iniziato, le nostre materie prime eccellenti, ma tutto passa attraverso l’avanguardia».

Come nasce un nuovo piatto?

«La creatività deriva dalle passioni. Nella mia cucina porto anche l’arte, la musica, ma in senso etico, non puramente estetico. Mi piace dire che le mie sono passioni masticabili».

Il segreto del successo?

«La maniacalità».

Lungo il percorso però le critiche non sono mancate...

«Qualche anno fa c’era chi diceva che io rovinavo il Parmigiano. Adesso mi chiamano Maestro. Hanno compreso che la cucina contemporanea può portare nel mondo le nostre produzioni migliori».

Ha tenuto un discorso anche alla sede di Google. Cosa ha raccontato? 

«Ho parlato di Modena, città di fast cars e slow food. La provincia è questo, non c’è bisogno di andarsene. E ai ragazzi che dicono Qui non si riesce, rispondo che non è vero».

Perché?

«I giovani devono capire che, invece di diventare dei tuttologi, che non sanno niente perché trovano le risposte su internet, devono andare in profondità. Imparate a fare il miglior pane del mondo, studiando l’umidità o le percentuali di lievito, e vedrete che vi verranno a cercare».

Farebbe mai il giudice in programmi come Masterchef?

«Finché in tv passerà il messaggio che basti vincere un talent per diventare un grande cuoco, io non andrò».

La cucina può essere sexy?

«A Istanbul ho fatto assaggiare a un signore due gocce di aceto balsamico stravecchio in un pezzetto di Parmigiano: mi ha detto che era meglio che fare l’amore. Ho visto persone piangere alla Francescana».

Ma cucina anche a casa?

«Poco o niente, ci pensano mia moglie Lara e mia figlia Alessia. A me ogni tanto piace preparare una bella pasta al pomodoro».

Non farebbe prima con una busta di surgelati?

«Mai».