Modena, tutto il mondo celebra Pavarotti a 10 anni dalla sua morte

Eventi e nostalgia: il canto infinito del tenorissimo

Luciano Pavarotti

Luciano Pavarotti

Modena, 5 settembre 2017 - Sembra ieri, eppure sono già passati dieci anni da quando Pavarotti ci ha lasciato. Tutto il mondo si prepara a celebrare quello che è stato, e resta, il tenorissimo per eccellenza, cantante e personaggio unico che nessuno è riuscito ad eguagliare.

La città natale, Modena, dà il via stasera a un nutrito programma di manifestazioni con il Requiem di Verdi in Duomo, mentre mercoledì all’Arena di Verona si accendono i riflettori su un evento kolossal che ha dato a molti modenesi l’impressione di uno “scippo” ma comunque raccoglie nel nome di Big Luciano un numero straordinario di stelle della lirica e dello spettacolo.

Come sono stati questi dieci anni senza Pavarotti? Si può dire senza timore di smentita che la sua voce non si è spenta. Chi lo ha ammirato in vita, continua a seguirlo ancora oggi grazie alle registrazioni e ai video, con sempre maggiore apprezzamento e immutata nostalgia. L’uomo conquista per la straordinaria comunicativa, per l’affabilità dello sguardo e del sorriso, per la tenerezza di quel suo fazzolettone che sempre lo accompagnava nei concerti.

Ma è la voce che produce le emozioni più grandi: una voce estesa, unica per morbidezza e lucentezza, capace di cesellare la parola nella musica come nell’oro. Le tappe principali della vita artistica di Pavarotti fanno parte ormai della storia dell’interpretazione della seconda metà del Novecento, a cominciare dai primi passi col padre Fernando nella Corale Rossini e dalla vittoria nel 1961, a 26 anni, nel Concorso internazionale di Reggio Emilia, che gli aprì la via al debutto nella “Bohème” di Puccini, una delle opere a lui più congeniali.

Nel 1965 già trionfava alla Scala proprio con “La Bohème” in un’edizione rimasta storica, con “la gemella di latte” Mirella Freni (anche lei modenese, avevano avuto la stessa balia) sotto la direzione di Herbert von Karajan. Un’incisione che è tuttora di riferimento. Ma congeniali cono state a Pavarotti anche “Tosca”, “Un ballo in maschera”, “L’elisir d’amore” e, tanto per restare in ambito donizettiano, “La figlia del reggimento”, con la quale sbalordì nel 1972 il pubblico del Metropolitan di New York inanellando come se nulla fosse tutti e nove i do di petto dell’aria di Tonio. Con diciassette chiamate al sipario Pavarotti diventò «Big Luciano», il re del Metropolitan.

I TRIONFI si susseguirono in tutti i teatri del mondo fino a tutti gli anni Ottanta. Si sarebbe potuto parlare allora di un artista già all’apice della carriera e della fama, se Pavarotti, insieme con Placido Domingo e José Carreras, non avesse dato vita nel 1990, in occasione dei Mondiali di calcio, a quell’autentico fenomeno musicale e mediatico che è stato il Concerto dei tre Tenori. Ancora oggi il passaggio di quell’evento su un canale televisivo riesce ad attrarre ascoltatori appassionati di ogni Paese.

I “tre tenori” segnarono una svolta. L’anno successivo, nel ’91, Pavarotti cantò per oltre 250 mila persone in un grande concerto a Hyde Park, a Londra, trasmesso in mondovisione. Il successo dell’iniziativa londinese si ripeté nel 1993 a New York, a Central Park, davanti a oltre mezzo milione di spettatori.

Sulla scia di una popolarità ormai planetaria, Big Luciano lanciò un tipo di show che ha fatto epoca, il “Pavarotti & Friends”, invitando artisti di fama mondiale del pop e del rock per raccogliere fondi a favore di organizzazioni umanitarie internazionali. Avveniva qualcosa di muovo: il grande cantante usciva dal chiuso dei teatri, per raggiungere il pubblico globale. È anche questo sterminato pubblico del mondo, oltre a quello dei melomani e degli appassionati di lirica, che oggi ricorda con affetto e gratitudine il suo tenorissimo.