“Io, transessuale da sempre ma schiava dei miei documenti”

Il racconto di una 23enne: “Voglio che si usi il mio nome da donna”

Lo scorso sabato è stata la giornata del Gay Pride con manifestazioni nelle maggiori città italiane

Lo scorso sabato è stata la giornata del Gay Pride con manifestazioni nelle maggiori città italiane

Modena, 28 giugno 2016 – «Non voglio più essere costretta a dare spiegazioni. Non possono obbligarci a sottoporci ad un pericoloso intervento solo per poter essere noi stessi». Chiara, così la chiameremo, ‘ragazza T’, (transessuale) di 23 anni, chiede che le sia concesso il prima possibile il cambio di sesso all’anagrafe senza dover ricorrere alla chirurgia. Un traguardo già raggiunto, in realtà, nella nostra città e che ha fatto si che Chiara trovasse il coraggio per fare il passo.

Hai già presentato istanza attraverso il tuo avvocato?

«E’ così, mi sono rivolta allo studio legale qualche giorno fa, chiedendo di avviare la procedura per il cambio di documenti. Sono una donna e mi ritengo tale, nonostante non rinneghi il mio passato e il mio percorso di ‘trasformazione’, iniziato circa tre anni fa».

Quando hai capito che il corpo in cui eri nata non rispecchiava la tua ‘anima’?

«Dai miei primi anni di vita. Già da bambina avvertivo il disagio interiore; ero un’adolescente intrappolata in un corpo che non era il mio e che non accettavo».

Credi che il documento serva anche a prevenire discriminazioni?

«Si, perché tutela la mia privacy, perchè ‘non mi vende’ a chi non accetta. Subisco discriminazioni da sempre. Quando decidi di intraprendere un percorso del genere, le devi mettere in conto. Ho vissuto anni della mia adolescenza molto bui e ho il diritto di prendere in mano la mia vita».

La tua famiglia ti è accanto in questo percorso?

«Purtroppo non condivide la mia scelta e ho dovuto fare tutto da sola, rivolgendomi alle associazioni e chiedendo aiuto».

Cosa cambierebbe il cambio di sesso all’anagrafe nella tua vita?

«Tutto, anche perché sicuramente sarebbe più semplice ottenere un lavoro, essendo disoccupata. Ovviamente presentarmi ad un colloquio, nonostante il buon curriculum, non aiuta avendo i documenti da uomo e l’aspetto da donna e, di conseguenza, due nomi».

Ti è capitato di avere esperienze spiacevoli in tal senso?

«Cerco di evitare luoghi dove pottrebbero chiedermi il documento. Quando è capitato, ad esempio in Comune o all’ospedale, mi sono sentita in imbarazzo, messa a nudo davanti a tante persone. Perché gridando il mio nome davanti ad una fila di gente, è inevitabile che tutti si girino a guardarmi. E questo non è corretto; è una cosa troppo personale».

Ti hanno fatto domande?

«Quasi sempre e indignata automaticamente mi ritrovo a dare una spiegazione di qualcosa che non sono tenuta a raccontare a sconosciuti. Mi è capitato che mi fermasse la polizia e che mi chiedesse spiegazioni sul mio aspetto, ma soprattutto a chi appartenesse la foto nella carta d’identità».

Il documento rappresenta anche una tutela per te?

«Si, perché non dovrei più nascondermi. Non voglio essere costretta a presentarmi con due nomi diversi. Perché ero e sono sempre stata una donna».