«Medicina, test d’ingresso necessario, ma senza quiz di cultura generale»

Università, il preside Nichelli contro la proposta di abolire la selezione

Alcuni medici in ospedale

Alcuni medici in ospedale

Modena, 2 settembre 2014 - «Lo spazio non c’è, i docenti neppure e si finirebbe per fare perdere un anno a tutti quegli studenti che poi non vengono selezionati». E’ questa la posizione del preside della facoltà di Medicina, Paolo Frigio Nichelli, in merito all’annunciata decisione del ministro dell’istruzione Stefania Giannini, di abolire i test di accesso a Medicina. «Basta con la selezione dei futuri medici basata su una batteria di domande in alcuni casi del tutto incongrue, dal 2015 si cambia», ha dichiarato la ministra. In sostanza la Giannini propone un primo anno aperto a tutti con sbarramento finale: un modello ispirato all’attuale sistema francese. «Forse — sostiene Nichelli, così come la maggior parte dei rettori chiamati a pronunciarsi sulla questione — nessuno si rende conto dell’onda d’urto che rischia di travolgere i nostri atenei».

Infatti, alla prova dello scorso aprile, erano presenti novecento studenti, mentre l’unimore ha garantito un posto per 127 matricole di Medicina e chirurgia e 15 di Odontoiatria. Dunque, tutti gli altri si sono visti costretti a puntare su altre facoltà, oppure ad attendere le selezioni del prossimo anno. C’è anche da dire che ministro e tecnici stanno lavorando all’ipotesi di un primo anno comune che raggruppi medicina, farmacia e biotecnologie, consentendo così di assorbire un numero di iscritti ben superiore a quello attuale del corso di laurea in Medicina. Durante questo primo anno agli studenti verrebbero impartiti solo alcuni insegnamenti di base comuni a questi indirizzi (chimica, fisica, biologia) in modo che al secondo anno, i ragazzi possano essere smistati nei diversi corsi di laurea. Inoltre si parla di anticipare lo sbarramento a sei mesi dall’inizio dei corsi, ma sono ancora tutte ipotesi.

«Francamente sono molto critico rispetto a questa idea — afferma Nichelli —non capisco il vantaggio che si avrebbe facendo una selezione tardiva. Non comprendo in che modo un test fatto a distanza di tempo potrebbe essere più obiettivo rispetto a quello che si esegue all’ingresso e ci sono motivi pratici che rendono la cosa difficilmente adattabile. Come le dovremmo organizzare le lezioni? — continua il preside della facoltà — non sappiamo neppure dove metterli questi ragazzi. E’ come la tragedia del mio primo giorno di università; fu forse il primo anno a Milano di iper afflusso e non sapevamo dove sederci. Per dare la possibilità di seguire la lezione a tutti i ragazzi che si presentano all’esame non basterebbero i teatri di Modena. Inoltre una scelta di questo tipo va ad incidere su un momento in cui diminuisce il numero di docenti e non si riesce a rimpiazzare chi va in pensione».

Secondo Nichelli non ha senso dunque ripensare l’intero sistema universitario italiano per seguire modelli che sembra funzionino bene in altri Paesi. «I problemi riscontrati — continua — riguardano soprattutto le domande di cultura generale nei questionari di selezione, per le quali è difficile stabilire confini e ambiti. A questo punto sarebbe forse più sensato ripensare la modalità d’esame, puntando maggiormente sulle materie scientifiche. Non c’è alcun motivo per far perdere un anno agli studenti». Il preside parla poi considerare maggiormente le ‘motivazioni vocazionali’, ovvero capire già dal liceo se gli studenti abbiano effettivamente la vocazione per intraprendere questa selezione. In Francia, solo due studenti su dieci passerebbero il primo anno; situazione che, proiettata in Italia, secondo il preside favorirebbe l’incremento di camici bianchi ‘a spasso’.