Papa a Carpi e Mirandola, "questa visita è un dono del Signore"

Il vescovo monsignor Cavina: "Ci aiuterà nel nostro cammino di fede, viviamola con la gioia dell'ascolto"

Papa a Carpi e Mirandola, il vescovo: "Questa visita è un dono del Signore"

Papa a Carpi e Mirandola, il vescovo: "Questa visita è un dono del Signore"

Carpi (Modena), 2 aprile 2017 - Atteso con gioia e entusiasmo, Papa Francesco arriva tra noi (LO SPECIALE). Monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, ha vissuto da vicino la ‘nascita’ di questa giornata speciale per la diocesi e per tutta la nostra terra. E ci accompagna ad approfondirne il senso. 

Monsignor Cavina, partiamo dalla riapertura della Cattedrale: che immagine le rimane della giornata solenne?  «Nel saluto ai cardinali ho detto che stavo vivendo un’emozione forte ma indefinita. L’esito della giornata ha superato ogni mia possibile immaginazione: mai mi sarei aspettato una partecipazione così corale. Ho visto gente che guardava estasiata la Cattedrale e si commuoveva, e questo mi ha provocato enorme stupore. Mi sono detto che veramente il cuore dell’uomo rimane insondabile, e solo Dio riesce a conoscerlo: le persone a volte sembrano distratte o prese da mille preoccupazioni, ma in realtà avvertono il richiamo dei simboli, della bellezza e di un luogo che si lega alla trascendenza». 

Il recupero della Cattedrale è stato impegnativo: c’è stato un momento in cui temeva che si fosse arenato?  «E’ stato quando il presidente Errani ha rassegnato le dimissioni, e l’assessore Muzzarelli si è candidato a sindaco di Modena. In quel passaggio, si è avuta una fase di stasi che mi ha fortemente preoccupato. Anche per questo ho pensato di realizzare il famoso concerto fra le impalcature, per dare una scossa e riaccendere l’attenzione». 

Si aspettava la visita del Papa?  «Non ci pensavo neppure lontanamente. Come è prassi, avevo chiesto al Papa una lettera di saluto per la riapertura della Cattedrale. La sorpresa è stata grande quando Papa Francesco mi ha telefonato chiedendomi di scendere a Roma il 20 febbraio: ho avuto con lui un colloquio di più di un’ora e a un certo punto, con un sorriso, mi ha comunicato che aveva deciso di venire a Carpi prima di Pasqua. Gli ho obiettato che il 25 marzo avevamo già fissato la riapertura della Cattedrale, ed eravamo già tutti impegnati sull’evento. Mi ha risposto che la sua voleva essere una visita pastorale, molto familiare: ‘Voglio esprimere la mia gratitudine per quello che è stato realizzato e per l’impegno di questi anni’, ha aggiunto».

Come si è definito il programma? «Sembrava che la visita dovesse essere breve, e inizialmente non era prevista neppure la celebrazione della Messa: poi è stato deciso dal Vaticano che la visita sarebbe durata un’intera giornata. Ho chiesto dunque che il Papa potesse andare anche nella Bassa dove ci sono ancora cittadine e paesi che attendono di ritrovare la loro originaria bellezza. Per non suscitare delusioni, voglio precisare che la visita pastorale alla diocesi avrà il suo centro a Carpi: la tappa a Mirandola ha lo scopo di mostrare al Papa la realtà del terremoto e in particolare il Duomo. L’unico momento di incontro sarà davanti al Duomo, quindi uno spazio piuttosto ristretto». 

Con quale spirito dobbiamo affrontare questa visita?  «Vivere questo momento, che è un dono del Signore, con grande semplicità e apertura di cuore per poter accogliere la parola che il Papa ci offrirà, senza lasciarsi trascinare da inutili polemiche. Il Papa viene, come vicario di Cristo, per aiutarci nel nostro cammino di fede. Se non ci poniamo in questo spirito, la visita del Papa rischia di trasformarsi in una giornata di tensioni e rivendicazioni che nascono dalla pretesa di volere tutti un rapporto privilegiato e personale con il Pontefice, e questo è ovviamente impossibile. Occorre accogliere con la gioia dell’ascolto».

Quali doni gli verranno offerti in questa visita? «Sono arrivati qui oggetti di tutti i generi, e glieli consegneremo. Come diocesi, gli doneremo una riproduzione in ceramica dell’immagine della Madonna Assunta venerata nella Cattedrale. Insieme vorrei che il Papa portasse a casa da Carpi una festa, un senso di gioia, e che si sentisse anche lui rincuorato nelle tante fatiche che vive nel suo ministero». 

Cosa ha rappresentato il terremoto per questa terra?  «Quando si vive un’esperienza del genere, all’inizio la si sente come un’ingiustizia nei confronti della propria persona, dei propri affetti e dei propri beni: nasce un senso profondo di sconforto, di amarezza e a volte anche di ribellione. Poi, il Signore sa tirare fuori il bene anche da eventi così rovinosi, e oggi riconosco tanti segni di bene emersi dal terremoto. Per esempio l’aumento di vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, così come una crescita dell’associazionismo giovanile cattolico. Tante persone hanno maturato un senso di maggiore responsabilità nell’affrontare la vita: sono nate domande fondamentali sull’esistenza umana, sul dolore e sulla sofferenza, questioni che spesso vengono sopite perché sono difficili da affrontare».

Abbiamo anche riscoperto le chiese...  «E’ vero. Quando hai tutto non te ne accorgi, ma quando ti viene a mancare qualcosa comprendi la privazione. Adesso si percepisce che una chiesa dove pregare o dove semplicemente entrare per un momento di silenzio è una ricchezza che bisogna recuperare». 

C’è qualche valore invece che ancora dobbiamo ricostruire? «Si fa sentire la difficoltà nella ricostruzione morale delle persone (e soprattutto degli adulti) che sono state segnate dal terremoto: si è persa in alcuni la dimensione della serenità, e c’è chi vive ancora nella paura che deriva spesso dal fatto di sentirsi soli. Santa Caterina da Siena diceva che la paura nasce dalla solitudine, ma un cristiano non è mai solo perché Cristo è con lui. Se questa paura non porta a interrogarsi sul senso della vita, non se ne potrà mai guarire».

Il terremoto l’ha legata ancor più a Carpi: che città è? «Qui ho trovato gente molto accogliente che sa essere riconoscente per il bene che riceve. Ho trovato una comunità che vede nella Chiesa, al di là delle diverse idee personali, una presenza importante e non estranea al vivere. E’ una comunità animata da una presenza significativa di associazioni di volontariato e da una grande attenzione verso i poveri e i sofferenti. E c’è una comunità cristiana che si interroga seriamente sulla propria fede e desidera testimoniarla con impegno».

Monsignore, qui lei ha realizzato molto, e anche la città si sente legata a lei. Se le chiedessero ora di trasferirsi, le dispiacerebbe lasciare Carpi? «Certo, ma devo dire che per il momento questa ipotesi non si pone: ho parlato anche di questo con il Papa. Credo che la ricostruzione debba poter continuare: il cambiamento del vescovo, in una fase come questa, vorrebbe dire rallentare il processo. Nei primi mesi dopo il terremoto, un laico mi disse che io avrei dovuto essere il vescovo della ricostruzione: allora la frase non mi piacque, ma adesso ammetto che aveva ragione. Oltre che un legame con le persone, c’è una questione di opportunità e responsabilità. Per cui Carpi resta la mia casa».