Sabato 4 Maggio 2024

Morricone, Maestro di modestia. "Ho in testa la musica, non l’Oscar"

Sta per volare a Los Angeles. "Sono calmo, tanto mica vinco"

Ennio Morricone domenica sarà alla notte degli Oscar

Ennio Morricone domenica sarà alla notte degli Oscar

Breslavia (Polonia), 25 febbraio 2016 - «Con la capoccia. Con quella compongo. I compositori veri scrivono con la testa, non col pianoforte». Già. Con quali strumenti lavora un musicista? E in particolare, uno come Ennio Morricone? Con il più semplice, o forse il più complesso di tutti. La testa. Lo raggiungiamo al telefono. È in un hotel di Breslavia, in Slesia, la parte occidentale della Polonia. La sera prima ha diretto un affollatissimo concerto. E fra poche ore prenderà un aereo per Los Angeles, dove domenica notte sarà alla cerimonia degli Oscar. Una nomination pesante, la sua, per le musiche originali di “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino. Ma non diteglielo, che in tanti lo considerano favorito. Morricone ne parla con toni dimessi, come se non riguardasse lui. E preferisce parlarti del mal di schiena che lo tormenta, e per un attimo ti sembra il vicino di casa, quello che incontri per le scale, con le buste della spesa. E invece, lui non è il vicino di casa, ma un mito del cinema. Ottantasette anni compiuti a novembre, oltre cinquecento composizioni per il cinema, e un palmarès da leggenda. Ha vinto tre Grammy, un Leone d’oro alla carriera, dieci David di Donatello, undici Nastri d’argento, e tre Golden Globes, l’ultimo dei quali lo scorso gennaio. Ha avuto anche l’immenso onore di un Oscar alla carriera. Ma mai una statuetta per la miglior colonna sonora, nonostante le sei nomination. E nonostante la beffa di veder vincere Herbie Hancock, per “Round Midnight”, con una colonna sonora che di originale aveva poco, essendo una rielaborazione di musiche già esistenti. Domani, a Los Angeles, un primo atto di consacrazione. La stella col suo nome sulla Walk of Fame in Hollywood boulevard.

Maestro, come vive l’attesa degli Oscar?

«Con tanta calma. Tanto non lo vinco».

Sei nomination con questa, e “solo” l’Oscar alla carriera. Ha qualcosa in comune con Leonardo DiCaprio...

«Non so lui (ride), ma io non mi illudo di vincere; l’importante, per me, è aver lavorato come meglio potevo, per essere utile alla visione del regista».

Nel caso di Tarantino come ha lavorato?

«Ho cercato di fare una cosa nuova, anche per me. Qualcosa che non avevo mai fatto. Tarantino mi ha mandato la sceneggiatura, mia moglie si è subito entusiasmata. E io ho cominciato a immaginare le atmosfere di un western».

Come funziona per lei il lavoro di composizione? Con chi si confronta?

«Con nessuno. Il compositore è solo. Altri avranno dei collaboratori, non so. Ma per me è tutta un’avventura solitaria».

Comincia con qualche nota di pianoforte?

«No. Comincio sempre dalla mia testa. Il pianoforte non serve: un compositore non va a cercare le note sulla tastiera. Lo strumento vero è la mia capoccia».

Con Tornatore, per “La corrispondenza”, come ha lavorato?

«Con Giuseppe c’è un rapporto bellissimo da anni: ho musicato tutti i suoi film a partire da ‘Nuovo cinema Paradiso’. Ci frequentiamo anche a prescindere dal lavoro, le nostre mogli si conoscono. Per il film, ho immaginato le suggestioni di spazi immensi, distanze di anni luce…».

Quali musicisti hanno avuto, per lei, maggiore importanza?

«Il mio maestro Goffredo Petrassi. E Pierluigi da Palestrina, Monteverdi, Frescobaldi, Bach, Stravinsky…».

La tradizione romantica pianistica sembra meno presente fra i suoi “amori”…

«E’ vero: anche quando mi trovo a comporre un tema romantico, c’è sempre un altro tema musicale, nascosto, che lotta contro questo romanticismo».

Un’altra sua passione sono gli scacchi. Gioca ancora?

«Purtroppo no: divento distratto, e mi scocciava perdere le partite per una svista stupida!».

Il suo prossimo lavoro sarà per “Voyage of Time” di Terrence Malick, famoso per essere irrintracciabile. I giornalisti non riescono a scovarlo. E lei?

«E’ sempre venuto a casa mia!».

Una carriera lunga tre quarti di secolo. E un matrimonio che dura da sessant’anni, quattro figli. Ma come ha fatto?

«Beh, non è stato difficile: il mio lavoro mi ha anche permesso di stare molto tempo a casa. Componevo in una stanza, mia moglie stava in un’altra: non ci siamo mai persi di vista».

Detta così, sembra quasi una cosa normale. E ti dimentichi, per un attimo, che lui non è un marito qualunque, ma uno dei geni dell’artigianato più delicato, sottile e sublime del mondo. Uno che da del tu alle armonie più complesse, a pochi gradi di separazione da Dio.