Il Papa e la realpolitik sui blitz militari: "Meglio un Gheddafi solo che 50"

Bergoglio: "L'Occidente faccia autocritica sulle primavere arabe"

Vladimir Putin con Papa Francesco (Olycom)

Vladimir Putin con Papa Francesco (Olycom)

​Roma, 9 febbraio 2016 - NELLA GEOPOLITICA di Francesco, nel suo continuo lavorare per abbattere i muri che ancora creano divisioni e contrasti, il ‘realismo politico’ è una delle componenti più importanti. Si possono leggere così le parole di Bergoglio nel suo ultimo colloquio, in cui il pontefice argentino spinge l’Occidente a fare autocritica sulle primavere arabe, come in particolare nel caso della Libia «dove prima c’era un Gheddafi e ora ce ne sono cinquanta». In Vaticano lo staff diplomatico di Bergoglio si sta preparando a salire sull’aereo che venerdì porterà Francesco in Messico non prima di fare tappa all’Avana per lo storico incontro con il patriarca russo Kyrill e già si lavora a un’altra missione cruciale di Bergoglio, che in settembre dovrebbe portarlo in Armenia con l’inclusione di una visita anche nelle due repubbliche ex sovietiche di Azerbaigian e Georgia. Ma in cima alle preoccupazioni del Pontefice e dei suoi più stretti collaboratori c’è ancora la scottante questione del conflitto siriano, su cui Francesco domenica ha rilanciato il suo appello in favore di una soluzione politica.

QUI ENTRANO in gioco la sua realpolitik e la necessità di coinvolgere tutti nel dialogo. «Abbiamo già visto cosa è successo con Saddam in Iraq, con Gheddafi in Libia – ragionano i diplomatici vaticani –. Siamo certi che Assad non è un santo, ma è anche chiaro che c’è stato un errore strategico iniziale dicendo andiamo e destituiamo l’ultimo cattivo della Regione, ma non è stato destituito e ora la Siria è in questa situazione». Ovviamente, non ci si tappa il naso, si vede il male che fa il presidente siriano però, si avverte, «non si può pretendere che sia Assad a fare un passo indietro per poi andare al tavolo. Piuttosto, si faccia di tutto per portare al tavolo delle trattative ogni attore coinvolto». E per questo Francesco preme su Iran e Russia, perché convincano Bashar a trattare. «Non significa benedire un regime – si sottolinea in Vaticano – ma il Papa avverte a non usare lo schema che è già stato fallimentare in Iraq e quindi in Libia». Del resto Francesco lega la crisi siriana e non solo al traffico di armi. Un gioco in cui convergono gli interessi di molti.

DEL RESTO, ricordano, «su questo il Papa ha tenuto sempre lo stesso schema. Non arriva a dire i nomi di chi vende le armi, ma denuncia e vorrebbe smascherare quanto siano i capitali a originare i conflitti della terza guerra mondiale a pezzi». «C’è nella sua politica estera – commenta lo storico Agostino Giovagnoli – il rovesciamento della logica della frontiera. Dice, là dove ci sono muri costruiamo dei ponti per un dialogo con l’altra parte. In questo senso c’è un disegno di un mondo diverso in cui non c’è più Occidente contro resto del mondo, ma Occidente con il resto del mondo».