“Armi chimiche sui fondali di Pesaro”. Un mistero lungo 70 anni

Esposto in Procura. Comitato nazionale chiede monitoraggio e bonifica VIDEO Intervista a Lelli

Pesaro, Alessandro Lelli indica il punto dove sarebbero seppellite le armi chimiche

Pesaro, Alessandro Lelli indica il punto dove sarebbero seppellite le armi chimiche

Pesaro, 11 ottobre 2014 - Dove? «Là, a tre miglia e mezzo dalla costa, dieci-quindici metri sotto la sabbia». Porto di Pesaro. Alessandro Lelli (video-intervista) – ieri faceva il manager, oggi insegna Marketing – non ha dubbi. Qui, al largo (ma non troppo), è custodito un mistero lungo settant’anni. Ordigni della seconda guerra mondiale. Armi chimiche. Bombe all’iprite e fusti di arsenico. Questione delicatissima. Anche per questo il professore – presidente di un coordinamento nazionale che si batte per una corposa bonifica – sceglie bene le parole. «C’è un pericolo potenziale che nessuno può valutare. Stiamo combattendo da cinque anni. Chiediamo subito un monitoraggio. Abbiamo preparato un esposto che raccoglie decine di firme. Nei prossimi giorni lo presenteremo in procura».

Dalle Marche al Lazio alla Puglia chi ha aderito al comitato si è messo a ristudiare la storia, mai risolta, dell’ultimo conflitto mondiale. Partendo da ‘Veleni di Stato’, libro-inchiesta pubblicato nel 2009 da Gianluca Di Feo. È l’estate del ’44. Hitler dà ordine ai suoi di far sparire gli arsenali di armi chimiche (italiane), a Urbino c’è un deposito. Vuol portare tutto in Germania. Manovra troppo pericolosa, ci ripensa. Decide di far sparire il carico in mare. Tra luglio e agosto le chiatte tedesche fanno avanti e indietro, quelle armi micidiali non devono finire nelle mani degli Alleati.

Questo raccontano i documenti storici. Ma quali sono le prove di oggi? «Andrebbero sentiti i pescatori – suggerisce Lelli –. Loro sanno. Magari trovano gli ordigni ma li ributtano in mare, hanno paura». Mistero nel mistero. Nel 51 il sottosegretario Tambroni rispondendo all’interrogazione di Enzo Capalozza, ex sindaco di Fano, riconosceva il pericolo e dava le coordinate. Alcune indicazioni, però, sono sbagliate. Due punti che dovrebbero essere in mare sono invece sulla terraferma. Il mistero è approdato nel comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Si sta muovendo anche la Capitaneria di porto.

 

«Abbiamo incontrato i pescatori, li abbiamo rassicurati – apre il comandante Angelo Capuzzimato –. Se trovano un ordigno ci contattino, per loro nessuna conseguenza». E poi? Lelli ha una sua idea. «Spero che dall’esposto della procura nasca un’indagine approfondita – è l’attesa –. Bisogna ascoltare i testimoni. E se si trovano riscontri, andare avanti con il monitoraggio e la bonifica».

Negli ultimi anni si sono moltiplicati denunce e convegni. Lettere di sindaci e presidente di Regione. Interrogazioni parlamentari ripetute più o meno con le stesse parole. «Tante dichiarazioni di principio, ma dopo un po’ spariscono tutti», il bilancio di Lelli. La sua conclusione, in sostanza, è la stessa scritta in fondo al dossier di Legambiente, due anni fa: «Gli ordigni a carica di gas nei fondali di Pesaro ci sono (...). Quello che è da accertare è invece dove, quanti e in che stato».