Banche, l'orlo del precipizio

Pesaro, 24 luglio 2016 - Chissà dove sono finiti in queste giornate assolate di luglio quei parlamentari e dirigenti del Pd pesarese e marchigiano che nel novembre scorso inneggiarono al ‘salvataggio’ di Banca Marche compiuto dal governo. Forse si stanno mangiando la lingua. Come dovrebbero fare molti commentatori nazionali che hanno scoperto la necessità di «non svendere le banche» (comprese le 4 sventurate sottoposte a risoluzione) solo adesso che il contagio è ormai generale e che rischia grosso anche Monte Paschi di Siena, che pure ha già goduto di sostanziosi aiuti di Stato. E pensare che torna a farsi sentire - su altri temi e in previsione delle difficoltà di Renzi – anche l’accoppiata Merloni-Letta, che pure nulla fece per aiutare Banca Marche quando ancora era possibile. E l’allora presidente Rainer Masera invocava i Tremonti bond già utilizzati per Siena. «Con 500 milioni di euro avremmo risolto il problema e Banca Marche sarebbe ritornata in linea di galleggiamento», disse Masera.

Non averlo fatto è costato 4-5 volte di più e ha messo in crisi l’intero settore creditizio. Non ci fosse da piangere, ci sarebbe da sorridere. Per la pochezza di una classe dirigente italiana in balìa di tutto. A cominciare da Bankitalia, che scopre sempre dopo che le norme europee sono nocive ed inapplicabili, oppure deve prendere atto che le soluzioni da lei portate avanti sono un disastro o giù di lì. Anche al Fondo interbancario (il presidente Salvatore Maccarone dixit) si sono convinti che va evitata in ogni maniera la risoluzione delle 4 banche e al contempo anche la svendita a fondi americani. Non ci fossero in ballo migliaia di posti di lavoro (2.700 a Banca Marche oggi a rischio) verrebbe da invocare la giustizia divina. Invece bisogna trovare una soluzione e farlo in fretta. L’estate finisce presto, molto presto.