Pesaro, 27 aprile 2011 - C’e’ un’anomala “marea scura” sulle coste adriatiche all’altezza del Riminese, attorno a Cattolica, Gabicce e Pesaro. Secondo quanto riferito dai bollettini della struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia Romagna, le acque di colore bruno-rossicce notate dagli abitanti della zona “sono frutto di un’intensa proliferazione microalgale - Diatomee con Chaetoceros e Skeletonema costatum come microalghe dominanti - dovuta a cospicui apporti fluviali, del Po in particolare, con conseguente ‘fertilizzazione’ da nitrati, fosfati e silicati dell’area nord-occidentale del bacino adriatico”.

Lo riporta sul proprio sito web oggi Legambiente Emilia Romagna, che ha voluto approfondire dopo le “numerose” segnalazioni arrivate in questi giorni sul fenomeno. La proliferazione delle alghe “ha portato ad un fenomeno di eutrofizzazione acuta con conseguente innesco di condizioni di ipossia e anossia dei fondali”, riporta l’associazione.

Nell’area meridionale dell’Emilia Romagna e nel Pesarese, in particolare, si sono verificati anche fenomeni di spiaggiamento di pesce “collegati a tali condizioni, e favoriti da un movimento verso la costa di acque profonde prive di ossigeno, spinte da venti spiranti da terra”. Secondo Legambiente l’evento e’ da considerarsi “straordinario per il periodo in cui si e’ verificato, e per i territori coinvolti”. Sono “frequenti”, infatti, i casi di anossia delle acque di fondo conseguenti a casi di eutrofizzazione, ma “questi fenomeni si verificano prevalentemente nel periodo estivo autunnale e solo nei territori centro-settentrionali dell’Emilia-Romagna (in genere da Goro a Ravenna)”, continua l’associazione ambientalista.

Posto che “e’ indispensabile tenere alta l’attenzione sulle problematiche collegate al Grande Fiume, nel quale si riversano tutti i carichi antropici provenienti dai territori”, Legambiente si chiede “cosa sarebbe accaduto se tale fenomeno si fosse manifestato nel periodo di maggio-giugno, e quali effetti avrebbe avuto sul turismo rivierasco, economia trainante della zona”. A questo punto, la ricetta puo’ essere quella di politiche di bacino “che consentano di trasformare il Po in una risorsa per tutti i territori toccati dal suo scorrere e non - sottolinea l’associazione - una miniera d’oro da saccheggiare attraverso assurdi progetti di bacinizzazione, escavazioni di ghiaia o progetti di siti nucleari”.