Pesaro, 20 luglio 2012 - “La cultura non si mangia”, disse l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti giustificando uno dei tanti tagli in tempi di crisi. Ma fa mangiare, almeno nella provincia di Pesaro-Urbino, dove il settore produce il 7,9% della ricchezza complessiva. E neppure Macerata, col 6,9%, si lamenta.

Frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, e dà lavoro a un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,6% del totale degli occupati. Superiore, ad esempio, al settore primario, oppure a quello della meccanica.

Uno studio Unioncamere e Fondazione Symbola con la collaborazione e il sostegno dell’assessorato alla Cultura della Regione Marche presentato oggi a Treia, ‘pesa’ la cultura nell’economia nazionale.

Allargando lo sguardo dalle imprese che producono cultura in senso stretto a tutta la ‘filiera della cultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15% del totale dell’economia nazionale e impiega ben 4 milioni e mezzo di persone, equivalenti al 18,1% degli occupati a livello nazionale.

Sacrificata spesso sull’altare della riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra non solo di poter ‘sfamare’ il paese, ma di ‘far mangiare’ già oggi quasi un quinto degli occupati italiani.

La palma della provincia in cui la cultura produce più ricchezza va ad Arezzo. Qui, infatti, il valore aggiunto della cultura è il più alto d’Italia: l’8,4% del totale prodotto dalla provincia (la media italiana è del 5,4%). Seconde classificate a pari merito Pordenone e Milano con l’8%, terze ex equo Pesaro e Urbino e Vicenza col 7,9%. Seguono la provincia di Roma con il 7,6%, quella di Treviso al 7,5%, Macerata e Pisa, entrambe al 6,9%, e Verona con il 6,8%.