Urbino, 17 febbraio 2013 - «E' OVVIO che rispetto ad una pala di Federico Barocci un piccolo orologio non colpirà allo stesso modo la memoria del grande pubblico, ma quattrocento anni fa gli orologi della bottega Barocci erano capolavori apprezzati in tutta Europa. Di quella produzione oggi sono rimasti pochissimi esemplari, ma ciò li rende ancora più preziosi».

ANTONIO BECCHI, del Max- Planck-Institut per la Storia della Scienza di Berlino, chiarisce subito che anche se talvolta è considerata "arte minore", quella orologiaia ha sempre ottenuto altissime stime dagli appassionati, oggi come allora. Il ricercatore, relatore ad una conferenza svoltasi ad Urbino lo scorso anno proprio sulla famiglia Barocci, spiega la singolarità dell'indagine che l'ha portato a individuare due orologi antichi molto simili ad un esemplare urbinate conservato in un piccolo museo inglese.

Becchi, come è nato questo studio che l'ha condotto fino all'Inghilterra alla ricerca di antichi orologi urbinati?

«Tutto ha avuto origine dall'idea di Enrico Gamba e Gian Italo Bischi, del Centro Internazionale di Studi Urbino e la Prospettiva, che mi hanno proposto di partecipare ad un convegno sulla famiglia Barocci. Sapevo che a Bury St Edmunds, una cittadina a Nord di Londra, era esposto uno dei pochi orologi Barocci. Così decisi di dedicare la mia relazione a questo esemplare poco studiato».

Ma come è finito un orologio italiano in quel museo? Cos'ha scoperto?

«La raccolta di orologi del Moyse's Hall Museum deriva in gran parte dalla collezione privata del noto violoncellista Frederic Gershom Parkington, che la donò al comune nel 1952 in memoria del figlio morto in battaglia ad El Alamein. Dove Parkington abbia acquistato il nostro orologio non si sa, ma non si può escludere che il celebre antiquario londinese Percy Webster possa averglielo venduto».

Cos'ha di unico questo esemplare?

«Ringrazio i colleghi del museo Keith Cunliffe e Alex McWhirter che mi hanno permesso di studiare da vicino e fotografare l'orologio. Si tratta dell'unico esemplare di orologio da camera che mostri sul quadrante la vistosa scritta "Barocci Urbino". Questo particolare, se da un lato lo assegna alla città ducale, dall'altro può mettere in dubbio la sua autenticità, visto che sono noti altri orologi straordinariamente simili, ma tutti senza quel "marchio". Si potrebbe pensare che qualcuno abbia solo aggiunto i nomi per aumentarne il valore».

Ma la letteratura cosa dice al riguardo?

«Nella letteratura si parla spesso di orologi "tipo Barocci", dove l'unico legame certo con i Barocci è proprio quel nome inciso sul quadrante del nostro esemplare. La tesi comune tra i maggiori esperti del settore, come Roberto Panicali e Silvio Bedini, è che, vista la genericità della scritta, esso provenga dall'area urbinate, ma non necessariamente dalla bottega Barocci. Gli studi in questo campo sono pochi, per questo sono stato contento di incontrare al convegno un bravo ricercatore, Cristiano Zanetti, che ha appena terminato una tesi di dottorato su Janello Torriani, un altro grande orologiaio dell'epoca».

Gli altri orologi firmati Barocci dove sono custoditi?

«Il più famoso, anche se in collezione privata, è quello astronomico (1570) donato a papa PioVe realizzato da Giovanni Maria Barocci, al quale è attribuito anche un orologio "da collo" conservato a Roma nella chiesa di santa Maria in Vallicella, probabilmente usato da san Filippo Neri. Anche un orologio da camera firmato Simone Barocci (fratello del pittore Federico e cugino di Giovanni Maria) si trova attualmente in una collezione privata. Gli esemplari sono talmente pochi che la notizia di un possibile "gemello" farebbe la felicità degli appassionati».

Cosa ha provato quando su un catalogo della casa d'aste Bonhams di New York ha visto un esemplare quasi identico?

«Sono trasalito: sfogliando i cataloghi delle aste mi sono imbattuto nella foto di un orologio del tutto simile, fuorché nel quadrante, a quello del Moyse's Hall Museum. Non solo: l'esemplare, venduto a settembre per 8.750 dollari, assomiglia ad un altro, conservato in una collezione privata e prestato per una mostra nel 2005, della quale ho letto il catalogo. Entrambi, a loro volta, sono analoghi a quelli "tipo Barocci" già menzionati. Certo è che i neo-proprietari dell'orologio dell'asta Bonhams, ignari dell'illustre somiglianza, hanno fatto un affare».

Vuol dire che questi e gli altri potrebbero essere dei "Barocci" non riconosciuti?

«E' indiscutibile un legame con l'orologio da me studiato. Di più non posso dire, perché nel catalogo Bonhams è allegato solo un breve testo senza alcun riferimento ai Barocci. Dopo aver visto la foto ho subito inviato una e-mail al curatore dell'asta (uno dei massimi esperti di orologi antichi), ma non ho ricevuto risposta. Probabilmente dovrà ancora smaltire la delusione per il mancato affare...».

di Giovanni Volponi

UNA STIRPE DI ARTISTI, SEMPRE LEGATI AD URBINO

ALLA FINE del 1400 Ambrogio Barocci, scultore, si trasferisce a Urbino dalla Lombardia: nel cantiere del Palazzo Ducale servivano scalpellini per le formelle che Francesco di Giorgio Martini aveva disegnato per il basamento della facciata ad ali.

Circa 100 anni dopo la loro vena artistica riemerge con un altro Ambrogio che inizia a produrre astrolabi e modelli tecnici. Ma fu suo figlio maggiore Simone (1525?-1608) a raggiungere la fama, spostando la produzione su meccanismi per automi, strumenti geometrici e matematici.

Ma soprattutto grazie ai preziosi orologi di sua invenzione poté godere delle committenze danarose del duca Francesco Maria I Della Rovere, che li inviava a tutte le corti d'Europa, arricchendo Simone che diede avvio a una bottega con numerosi allievi, attiva anche dopo la morte sua e dei suoi altrettanto abili cugini Giovanni Maria (?-1593) e Giovanni Battista.

Tra gli illustri clienti della famiglia ci fu Galileo Galilei, che ordinò alcuni compassi geometrici et militari. Figlio minore di Ambrogio fu poi Federico, che non mancò di servirsi della maestrìa del fratello introducendo nel disegno l'uso del compasso di riduzione, con cui realizzò copie dei suoi dipinti delle dimensioni più diverse.

g. v.