Urbino, 18 giugno 2013 - Ari Rath sa come muoversi. E le sue intuizioni nel giornalismo solitamente riescono bene. E’ stato proprio lo storico editore del Jerusalem Post a scoprire nel ‘73 Wolf Blitzer, all’epoca corrispondente Reuters da Tel Aviv.

L’occasione arrivò da una tragedia sfiorata. Il figlio di una coppia di rifugiati ebrei, sopravvissuti all’Olocausto, stava coprendo per l’agenzia la visita di Willy Brandt in Israele. In agenda c’era l’incontro con Golda Meir. Il primo evento del genere per un cancelliere tedesco dai tempi della Shoah.

Una mattina Brandt volle andare a Masada, nella fortezza in mezzo al deserto. «Fai un piccolo pezzo di colore», gli dissero dalla redazione. L’elicottero doveva atterrare in cima a una montagna. Ma una turbolenza lo spinse verso un precipizio, a un passo dalla sciagura. In maniera rocambolesca Brandt ne uscì senza graffi. Fu qui che  Wolf Blitzer conquistò la sua reputazione di «Lupo Assaltatore».

Mentre i colleghi di AP, AFP e delle agenzie tedesche rimanevano in alto a guardare, lui scese a tutta velocità  con mezzi di fortuna. Lanciò il suo «take», dettandolo da un telefono trovato in mezzo alla strada. Poche parole. Ma decisive: «L’elicottero con a bordo il cancelliere della Germania Ovest Willy Brandt, colpito da una turbolenza, ha rischiato di precipitare. E’ accaduto a Masada. Il cancelliere è scosso ma illeso».

Così Blitzer accettò l’offerta di Rath, ritrovandosi catapultato a Washington per il quotidiano israeliano di lingua inglese. A seguire la politica americana e gli sviluppi mediorientali.

La sua credibilità si è plasmata con scoop passati alla storia. Come quando nel ’77 colse alla sprovvista il leader egiziano Sadat nella conferenza stampa della Casa Bianca, chiedendogli la ragione del divieto di transito verso Israele per studenti, atleti e giornalisti egiziani. Lo inchiodò all’angolo, davanti alle sue responsabilità, nel mezzo del palcoscenico dell’opinione pubblica mondiale. La risposta di Sadat, a quel punto quasi dovuta, fu interpretata come la prima apertura al processo di pace tra Egitto e Israele.   

Il nome di Blitzer si lega anche al caso Pollard, scoppiato a metà anni ’80. L’ex analista dell’intelligence della Marina Militare, arrestato e condannato all’ergastolo per spionaggio a favore di Israele, colpito dalle sue inchieste sulla vicenda, lo scelse per confessarsi in esclusiva. Sperava di raggiungere meglio «il popolo di Israele, così come la comunità ebraico americana».

Ne venne fuori il «libro dell’anno», secondo il New York Times. Che scrisse: «Il giudizio di Blitzer sugli ufficiali di Israele? Duro ma giusto».

Con il passaggio alla CNN diventa il volto simbolo della televisione «all news», dove in principio buca il video come reporter e corrispondente dal Pentagono. «Ritrovarsi dalla carta stampata al piccolo schermo? Non è stata una passeggiata – ricorda -. Il primo giorno ero nervoso, pensavo di non farcela». Eppure è da lì che passa la consacrazione, con i memorabili servizi sulla Guerra del Golfo.

La CNN è l’unica televisione che trasmette da Baghdad. Ore di bombardamenti in diretta, scanditi dai collegamenti del “Lupo Assaltatore”. «Mi resi conto di avere una grande responsabilità. Le mie parole erano sotto stretta osservazione. Per gli ufficiali del Pentagono, darmi notizie era il modo più semplice per mandare messaggi a Saddam». Piovono premi e riconoscimenti da mezzo mondo.

Blitzer diventa il corrispondente per eccellenza dalla Casa Bianca, l’interlocutore autorevole di tutti i presidenti. Nel mezzo, l’epoca di Little Rock e di Bill Clinton, con cui  nasce un legame solido. «Ho passato 7 anni con lui. Insieme abbiamo girato mezzo mondo, dalla Cina all’Africa, passando per il Sud America». Il reporter della CNN si è ritrovato anchor: il volto che porta le «breaking news» nelle case di milioni di americani. Con il suo programma giornaliero - ormai icona - che dice tutto nel jingle di apertura: «Accade adesso…Benvenuti negli Stati Uniti e nel mondo. Sono Wolf Blitzer e voi siete nella Situation Room».

Osservatore privilegiato. A tratti ironico: «Alla mia famiglia raccomando sempre di non dire ai boss della CNN quanto mi stia divertendo con questo lavoro». La rappresentazione migliore della dimensione del personaggio? E’ tutta racchiusa nel suo cameo in Skyfall, l’ultimo capitolo della saga di James Bond. Dove Blitzer appare, nel momento clou del film, interpretando se stesso. Per travalicare i confini della professione, diventando mito.

Giovedì riceverà ad Urbino l'Urbino Press Award, il premio dell'Italia ai giornalisti americani. L'appuntamento è nel Palazzo Ducale alle ore 11,30. Blitzer parlerà degli scenari mondiali come facevano cinque secoli fa i grandi intelletuali che arrivavano alla Corte d'Urbino.

di Francesco Nonni