Pesaro, 15 gennaio  2014 - C’E’ UNA CLAMOROSA seconda indagine sull’inquinamento dell’area ex Amga (che vede già 18 persone indagate). L’inchiesta-bis riguarda politici, pubblici amministratori, imprenditori. Quattro le persone indagate. Si ipotizza il reato di corruzione. In sostanza, i magistrati hanno il sospetto che alcuni imprenditori (chi e quanti non si sa) abbiano avuto garanzie interessate da politici e funzionari pubblici affinché non ci fossero guai o intralci tecnici amministrativi per il via libera alle costruzioni sull’area.

Questo secondo stralcio di indagine scaturisce da mesi di intercettazioni (più di venti le utenze tenute sotto controllo), un’attività investigativa che si è rivelata fondamentale per capire che ci si trovava di fronte ad una «rete» politica-imprenditoriale che badava al sodo e molto meno alla salute dei cittadini. Un «accordo» che è passato attraverso un intreccio di chiamate telefoniche, soprattuto tra l’aprile e il settembre 2010, fedelmente raccolto dai carabinieri del Noe di Ancona.

I quali hanno preso a verbale durante l’indagine molti residenti di via Morosini che hanno visto con i loro occhi che cosa stava avvenendo in quel cantiere. Una testimonianza chiave è quella del pensionato Adamo Fiorino, di 70 anni, ex funzionario del comune di Pesaro, che ha lanciato per primo l’allarme su quanto stava accadendo. Nell’immediatezza dei fatti, al «Carlino» e agli inquirenti ha detto quello che aveva visto: «Sotto i miei occhi, gli operai delle ditte hanno lavorato per giorni per rompere due specie di casematte che in realtà erano cisterne. Da quel momento, è uscita fuori una puzza che ci sta ammazzando». Due vigilesse chiamate dal residente andarono al cantiere ma non ravvisarono nulla di speciale. Non hanno potuto evitare la puzza nauseabonda di benzene che saliva dal sottosuolo ma non lo avevano recepito come notizia di reato che imponeva la mobilitazione di autorità giudiziaria, Arpam, e Asur. Pensavano che fosse una puzza tipica di tutti i cantieri.

IN REALTA’ era in atto la rottura delle cisterne che contenevano benzene ed idrocarburi. Una tesi che i costruttori contestavano ma che l’indagine invece ha rilanciato tanto da ipotizzare per tutti i cinque proprietari del terreno l’accusa di disastro ambientale. In pratica, secondo la procura di Ancona (competente per il tipo di reato), i proprietari in perfetto accordo con la ditta di escavazione hanno cercato di far sparire in fretta e furia il terreno intriso di materiale inquinante andando a sversarlo in un laghetto di Carrara e in una cava di Fano. Ma più scavavano e più terra nera usciva insieme alla puzza insopportabile.

Le intercettazioni telefoniche sono eloquenti e dimostrano che la ditta Carloni e Alessandroni padroneggiava la materia su come smaltire quel terreno inquinato. Tanto che in una chiamata del titolare al figlio, che doveva scavare alla presenza del Noe, gli dice di non affondare in un determinato punto perché era proprio terra nera. Doveva trovare quella più chiara. Ed è grazie alle intercettazioni che si è scoperto l’esistenza di un accordo tra la società «Gerbe» di Marco Montagna e i cinque proprietari della rimanente area dove costruire la terza torre. Un foglietto depositato da un notaio dove le società si accordavano sulla ripartizione dei costi di smaltimento di rifiuti che eventualmente si fossero trovati nel sottosuolo.

ro.da.