Banca Marche da dove ripartire?

Pesaro, 11 ottobre 2015 - Una crisi nella crisi. La vicenda Banca Marche, in questi ultimi anni, rappresenta non solo il fallimento di una classe dirigente che va al di là della politica, ma anche la più grande distruzione di valore e di risparmi mai avvenuta in una regione sostanzialmente piccola come le Marche. Il conto finale lo avremo solo dopo il perfezionamento del salvataggio da parte del Fondo Interbancario. Che non è un regalo ma un obbligo di legge. E anche un risparmio perché mandare in default la banca voleva dire per lo stesso fondo versare attorno ai 5 miliardi per la copertura di tutti i depositi fino a 100 mila euro. Meglio stanziare un 1,2 o 1,5 miliardi subito, anche se, nei fatti, mancano ancora alcuni passaggi (legge alle camere, bankitalia, Bce, Unione europea) per dire che la banca sarà definitivamente salva.

Dando però per scontato questo lieto evento restano da capire altre cose: come è stato possibile creare una voragine di alcuni miliardi di crediti inesigibili; come mai Bankitalia ha usato la mano dura soprattutto con Jesi, Teramo, Arezzo e pochi altri istituti; come finirà l’inchiesta penale dormiente ad Ancona; chi pagherà una parte di questa maxi-perdita tra azionisti ed obbligazionisti Bdm; come si può rilanciare una banca che due anni di commissariamento da bunker hanno stressato in maniera terribile. Ovviamente tutto questo è rimasto sotto traccia nel corso degli anni, anche per la volontà collettiva di salvare un patrimonio marchigiano. Se i sindacati esultano per l’operazione del Fondo interbancario ben difficilmente potranno sperare che l’istituto di credito rimanga così come è stato congelato dal direttore Goffi e dai commissari. Chi subentrerà avrà un grande lavoro da fare per mantenere i clienti fedelissimi in primis e per trovarne dei nuovi.

Quindi non è affatto detto che rimarranno gli stessi numeri a livello di occupazione. Nel contempo avranno bevuto l’amaro calice gli azionisti: il valore delle azioni che nel 2009 aveva superato i 2 euro pare ormai ridotto a pochi centesimi (4-5 al massimo) in relazione all’attivo patrimoniale che pare galleggiare sotto i 100 milioni di euro. Dentro ci sono i patrimoni di 4 fondazioni e l’investimento di 40mila azionisti. Rimarrà la speranza di poter recuperare qualcosa nei lustri a venire. Speranza appunto. FINO a che non sarà definito sul lato finanziario il piano di salvataggio tremeranno i possessori di obbligazioni convertibili. Si tratta di 450 milioni di euro di risparmi investiti con interessi anche notevoli.

Dentro ci sono risparmiatori ignari ingolositi dai tassi elevati e, magari, anche speculatori che hanno comprato a prezzi vantaggiosi (attualmentele obbligazioni convertibili quotano a un terzo o poco più del prezzo di collocamento). Se le obbligazioni dovessero essere obbligatoriamente convertite in azione per finanziare il salvataggio saranno molti i risparmiatori (nonché correntisti dell’istituto) a rimanere nel pantano per anni. Con contraccolpi evidenti sul risparmio regionale, sul pil marchigiano e anche, crediamo, sulla possibilità di ripresa di una banca che, comunque, ha già fatto un miracolo sopravvivendo a uno stress enorme a cui nessun altro istituto di credito è stato sottoposto, nemmeno chi, come Montepaschi di Siena, era diventato un caso internazionale. Non ne conosciamo il motivo perché il mondo del credito è governato da enti che sono al di sopra di tutto e di tutti. Ma uno ce ne sarà di sicuro.