Il mistero della grotta dei teschi

«Speleologi marchigiani, aiutateci». Il governo di Skopje vuole far luce su un caso di pulizia etnica del ’900

Una delle foto impressionanti scattate da Michele Betti dell’Università di Urbino

Una delle foto impressionanti scattate da Michele Betti dell’Università di Urbino

Macedonia, 3 dicembre 2016 - Dalla Grotta dei Teschi di Gostivar (Macedonia) continua ad arrivare a noi l’eco di voci passate. Le centinaia di ossa umane di ogni genere ed età rinvenute in quella che è stata ribattezzata «The Skull Cave» dalla spedizione speleologica «Gostivar 2016« organizzata dal Team SpitSport e dai Gruppi Speleologici Montelago e Chieti che l’ha scoperta questa estate, così come documentato dal Carlino il 1 settembre scorso, hanno richiamato l’attenzione delle autorità macedoni.

L’obiettivo è ora infatti quello di riuscire a determinare a quale epoca storica possano risalire i teschi e le ossa che hanno ispirato il macabro nome assegnato alla caverna.

Tante sono le ipotesi possibili su cause e origini di questo impressionante ammasso organico. Si tratta di luoghi che nel trascorrere della storia hanno visto avvicendarsi numerosi e drammatici episodi, dall’invasione ottomana fino alle due guerre mondiali fatte di stragi prima e di rappresaglie poi, per giungere infine ai conflitti etnici che hanno infiammato l’ex Jugoslavia negli ultimi decenni del Novecento.

Datare con esattezza un numero così ingente di scheletri potrebbe essere in grado di far riscrivere i libri di storia, perciò il Procuratore di Gostivar Ahmet Ahmeti e il Ministro della Giustizia della Macedonia Valdet Xhaferi hanno cercato il soccorso di analisi scientifiche che fossero il più possibile lontane da condizionamenti, individuando nell’Università di Urbino quella che avrebbe potuto analizzare e collocare esattamente nel tempo quei poveri resti.

Invito raccolto dal Rettore Vilberto Stocchi che ha inviato in Macedonia il dottor Michele Betti del Dipartimento di Scienze Biomolecolari, al quale appena rientrato abbiamo chiesto di raccontarci la spedizione e quali analisi saranno condotte sui reperti.

Reperti dalla Grotta dei Teschi
Reperti dalla Grotta dei Teschi

NELLA PROFONDITÀ DELLA GROTTA

«Accompagnato da Giacomo Berliocchi, istruttore nazionale del soccorso speleologico (CNSAS) domenica scorsa a Tirana ho incontrato Jeton Osmani, Preisdente dello Speleo Klub Korabi che ci ha accompagnato a Gostivar dopo un viaggio in auto tra i monti di Albania, Kosovo e Macedonia».

Che tipo di operazione avete condotto?

«Con il Ministro di Giustizia Valdet Xhaferi, il Procuratore di Gostivar Ahamet Ahmedi, il professor Agim Ramadani consulente dell’Istituto di Medicina legale, lo speleologo Kimi Rapiki siamo partiti tutti per la grotta con due agenti della polizia scientifica. Dopo 50 metri dall’imboccatura innevata abbiamo incontrato un tappeto spesso una cinquantina di centimetri di ossa miste a fango e pietre con crani, vertebre, femori, costole, omeri, clavicole che abbiamo campionato, fotografato, messe in sacchi antinfettivi, sigillati e numerati».

Uno scenario impressionante...

«Un’esperienza molto forte, anche per le caratteristiche delle ossa. Il giorno dopo ho portato il materiale all’Istituto Nazionale di Medicina Legale della capitale Skopije dove ho illustrato i risultati preliminari a Biljana Janesca, Direttrice dell’Istituto e ad altri esperti presenti. C’è stata qualche resistenza al trasporto in Italia dei reperti, ma l’incontro è servito a chiarire la scientificità del lavoro che avremmo eseguito a Urbino. La mattina dopo abbiamo anche incontrato il sindaco di Gostivar, Nevzat Bejta e il Ministro dell’Ambiente Bashkim Ameti, che nel ringraziare noi e l’Università ci hanno prospettato una serie di attività e di rapporti da instaurare in futuro».

Nel frattempo, l’Ateneo ha già ricevuto una lettera di ringraziamento per il lavoro svolto e per quello futuro, da parte del Procuratore.

Adesso che analisi verranno effettuate sui reperti?

«Condurremo tutta una serie di analisi atte a rilevare la presenza di proteine, grassi, adipocere, molecole organiche con metodologie biochimiche e di microscopia elettronica anche grazie al professor Pietro Gobbi per identificare l’età e quindi risalire al tempo di permanenza in grotta. Inoltre otterremo anche informazioni sugli stili di vita come alimentazione, cure mediche, esposizione a sostanze tossiche, etc.».

Che idea si è fatto su quando risalgono e come mai siano a centinaia, tutte in quella grotta?

«Come scienziato devo obbligatoriamente attendere l’esito delle analisi. Come speleologo ritengo che risalgano ad almeno 100 anni fa e depositate in quel punto dall’acqua che ha scavato la grotta. Acqua che poi ha cambiato il suo corso e che necessiterà di studi speleologici per comprendere perché abbia mutato il percorso. Per fare ciò – conclude Betti – abbiamo già preso accordi per una spedizione la prossima estate».