La Storia si racconta anche in due minuti

Lunedì 27 alle ore 10 a Palazzo Montani Antaldi, presentazione della serie web "Due minuti di storia". Interverrà Andrea Cangini, direttore del QN il Resto del Carlino

Riccardo Paolo Uguccioni in "Due minuti di storia"

Riccardo Paolo Uguccioni in "Due minuti di storia"

Pesaro, 26 marzo 2017 - Da domani la storia si può raccontare anche in videoclip di due minuti. Nel nostro portale saranno pubblicati tutti i lunedì, fino a luglio, i filmati di Due minuti di storia, miniserie curata da Giovanni Lani e Solidea Vitali Rosati, con ospite (quasi fisso) lo storico Riccardo Paolo Uguccioni.

I video parleranno del territorio e forniranno tante curiosità sul mondo che ormai vediamo solo nei film.

Due minuti di storia saranno presentati domani mattina, lunedì 27 marzo 2017, alle ore 10 del mattino a Palazzo Montani Antaldi (ingresso in piazza Antaldi) al pubblico che è invitato a intervenire.

Dopo l’introduzione di Lani e Uguccioni e la visione di alcune puntate in anteprima, sarà Andrea Cangini, direttore di QN - il Resto del Carlino, a parlare di cronaca e storia. Il direttore dialogherà anche con gli studenti presenti, risponderà alle loro domande e introdurrà così il cofanetto La storia attraverso le prime pagine de il Resto del Carlino, presentato da Stefania Dal Rio, direttore immagine e comunicazione Monrif Group, curatrice del volume. Presenterà la giornalista Lara Ottaviani.

Lo storico Riccardo Paolo Uguccioni con questo articolo ci anticipa lo spirito di "Due minuti di storia", far conoscere aspetti inediti o sconosciuti della vita quotidiana del nostro passato.

Le impossibili strade dell'antichità: da Montecchio a Pesaro era un incubo

Le nostre strade nell'Ottocento, disegnate dal Liverani
Le nostre strade nell'Ottocento, disegnate dal Liverani

di Riccardo Paolo Uguccioni

Spesso manca in noi viventi il senso della profondità storica, della forte differenza tra una volta e oggi: e non parlo del tempo di Camillo, quello che riscattò Roma dall’oltraggio di Brenno, ma anche dell’età di Silvio Pellico e Giuseppe Mazzini.

Cinque o sei generazioni fa, infatti, cibo, viaggi, sicurezza, igiene, aspettative di vita, ecc., erano davvero profondamente diverse, e di questo ci si rende poco conto. Del resto o uno studia e legge di storia, o l’idea del passato se la costruisce sui film, che possono anche essere ottimi, ma comunque non mostrano il passato come davvero era, ma come il regista lo ha immaginato, magari giovandosi di qualche ottima consulenza.

Il senso del viaggiare, per esempio, ha subìto dalle nostre parti una trasformazione radicale – materiale e psicologica – quando nel novembre 1861 passò il primo treno, proveniente da Bologna e diretto verso Ancona, dove allora la strada ferrata finiva. A bordo c’era Vittorio Emanuele, da poco re d’Italia. Da quel momento divenne possibile raggiungere Ancona in appena due ore, o Bologna in sei: tempi che vanno raffrontati non alle nostre velocità, ma alle possibilità del tempo, quando si andava a piedi, si chiedevano passaggi ai birocci in transito, molto più raramente si utilizzava un proprio calesse. LA STESSA “strada” come la immaginiamo noi (un percorso attrezzato, continuo, percorribile – pur con le necessarie cautele – anche con maltempo medio) è un’idea contemporanea.

Nei decenni dell’Ottocento preunitario accadeva che il viaggiatore (meglio sarebbe dire il viandante) percorreva strade bianche, poi si imbatteva in tratti lastricati che però dopo un breve tratto diventavano, in caso di pioggia, “perfettissima fanga”.

Il problema è presto identificato: nel territorio della legazione di Urbino lo Stato pontificio si occupava solo delle due strade “corriere”, ovvero della Flaminia che da Fano si inoltrava verso i monti e poi verso Roma, capitale dello Stato, e la cosiddetta “Flaminia Lauretana” (noi diremmo la statale Adriatica), che dalla Romagna scendeva verso Ancona e Loreto.

E il resto? Tutte le altre strade erano affidate ai singoli municipi, responsabili della manutenzione ciascuno nel proprio tratto, ponti compresi. Il risultato a macchia di leopardo è facile da immaginare. Una relazione del febbraio 1818, ad es., descrive il percorso in pianura da Pesaro a Montecchio, verso Urbino, come pessimo e privo di fondo, «né più si trovano vetturini che vogliano praticare questa strada». Il tratto da Urbino a Urbania poi, diceva sconsolato l’ingegnere pontificio, «non saprei trovare dei termini abbastanza espressivi onde descrivere quanto egli sia rovinoso»: impercorribile d’inverno anche con i buoi, d’estate le stesse bestie da soma transitavano a fatica.

Insomma, molte cosiddette strade erano in realtà sentieri in terra battuta, frutto del calpestìo dei viandanti e dei muli. Lo Stato pontificio compie poi grandissimi sforzi e nei decenni, obbligando i municipi a unirsi (malvolentieri) in consorzi obbligatori, costruisce molte strade vere e proprie, cioè robuste massicciate con letti di pietra, coperte di ghiaia e protette dalle acque. L’opera più importante e difficile è quella detta dei Due Mari, ovvero la strada da Urbania a Sansepolcro per la Trabaria, una strada internazionale progettata di comune accordo verso il 1830 fra Stato pontifico e Toscana granducale, che dividono anche le ingenti spese (circa 250.000 scudi).

Un’altra importante strada quasi coeva è la “traversa di Barchi”, che partiva da Fossombrone e per Sant’Ippolito andava fino a Mondavio e al fiume Cesano.Ma ecco quella che, solo ai nostri occhi di gente frettolosa, è una sorpresa: l’ingegnere direttore dei lavori non costruisce il ponte sul Tarugo, perché costerebbe troppo. In fondo, argomenta, le piene di quel piccolo fiume sono brevi, dopo un’attesa di poche ore i viandanti potranno di nuovo guadare e riprendere la via.

Il logo di "Due minuti di storia"
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