Cagli, chiuso il Pozzo del Burano

Ma le polemiche non si placano. Gli ambientalisti attaccano la Regione e chiedono studi seri per valutare le conseguenze dell'attingimento

Cagli (Pesaro e Urbino), la manifestazione per la difesa di Pozzo Burano

Cagli (Pesaro e Urbino), la manifestazione per la difesa di Pozzo Burano

Cagli (Pesaro Urbino), 20 settembre 2017 - Il pozzo del Burano è da oggi ufficialmente chiuso. La decisione è stata presa questa mattina in una riunione al vertice tra la Prefettura, l’Aato, la Protezione civile e i tecnici di Provincia e Regione. Le abbondanti piogge degli ultimi giorni hanno restituito un po’ d’ossigeno ai nostri fiumi, facendoci uscire finalmente dall’emergenza. Il Candigliano e il Metauro hanno nuovamente una portata dignitosa e gli invasi di Furlo, San Lazzaro e Tavernelle sono tornati alla piena capacità, con oltre 1.000.077 metri cubi d’acqua in custodia. La decisione di chiudere i pozzi però non stempera le polemiche che hanno alimentato le proteste degli ultimi mesi. Ad attaccare la cattiva gestione delle risorse idriche e l’attingimento dai pozzi del Burano sono il Forum dei Beni comuni e la Lupus in fabula, che chiedono di proteggere la riserva strategica più importante dell’intera provincia, dalla “superficialità della politica”. Gli ambientalisti evidenziano come “dal ’92 ad oggi il Pozzo del Burano non sia mai stato emunto per un periodo così lungo. Sono già passati più di due mesi dall’apertura, la pressione ha continuato a scendere e la “testa pozzo” ha dimostrato la sua fragilità, essendosi fessurata più volte (l’ultima il 15 settembre scorso). Tutto questo in assenza di monitoraggi per la verifica di eventuali danni alla falda o agli ecosistemi correlati e nel timore che la “testa pozzo”, provvisoria dal ’92, perché costruita a servizio del solo periodo di studi, potesse saltare da un momento all’altro”. Il forum e la Lupus fanno inoltre notare che l’apertura del pozzo è avvenuta in piena crisi idrica il 15 luglio, mentre la Regione ha chiuso la pratica per la richiesta dello stato di emergenza a fine agosto. “A chi attribuire questo ritardo? E soprattutto – chiedono gli ambientalisti - ad oggi, lo stato di emergenza è stato riconosciuto? Inoltre a parte l’incertezza sulle reali quantità captate, quali certezze si hanno sulle possibili conseguenze? Gli studi Aquater – puntualizzano il Forum e la Lupus - risalgono agli anni ’90 e sono basati su dati puntuali (ad esempio quelli pluviometrici) di quel periodo e degli anni precedenti. Considerando che il tempo di ricarica del pozzo varia tra 12 ed i 15 anni, si è tenuto conto della piovosità dell’ultimo decennio? E’ rimasta la stessa? Si è fatta una comparazione per elaborare un nuovo bilancio idrogeologico? Si è tenuto conto dei due forti terremoti avvenuti negli ultimi anni e della loro incidenza sulle falde sotterranee? Ricordiamo che dallo studio dell’Aquater sono passati 25 anni e che i dati raccolti potrebbero non corrispondere più allo stato dei fatti”. Sulla vicenda, secondo gli ambientalisti, hanno pesato troppo le politiche di Fano e Pesaro, l’assenza di un Piano regolatore degli Acquedotti e di logiche di risparmio e riuso dell’acqua, “insieme ai silenzi colpevoli dei tanti amministratori, ad eccezione dei Comuni di Cagli, Cantiano e della Presidente dell’Unione Montana Alto Metauro. La mancata pianificazione – concludono Lupus e Forum - la conclamata inadeguatezza degli amministratori, in particolar modo regionali, sempre a caccia delle soluzioni più facili ed incapaci di ragionare in prospettiva, non può che portare a conseguenze nefaste, che potremmo dover pagare i prossimi decenni”.