Palumbo lascia la Procura: "Contrastato il crimine come pochi altri"

L’analisi del capo della procura: "Pesaro è la provincia che ha lottato meglio"

Manfredi Palumbo (FotoPrint)

Manfredi Palumbo (FotoPrint)

Pesaro, 8 dicembre 2016 - Ancora poche settimane e il procuratore capo Manfredi Palumbo lascerà la poltrona della Procura di Pesaro e, dopo 43 anni di carriera, saluterà per sempre la magistratura.

Dottore Palumbo, ci lascia dopo aver delineato un quadro poco sereno…

«La realtà va sempre vista in faccia. Lo spaccato che si legge nel mio memorandum è emerso grazie all’attività di contrasto che abbiamo messo in atto in questi anni. Un contrasto di questo tipo, come ha detto Macrì, c’è stato solo a Pesaro e non nelle altre province marchigiane. E purtroppo sono convinto che il livello di risposta alla criminalità si abbasserà nel prossimo futuro».

E quindi che futuro aspetta il suo successore, Cristina Tedeschini?

«Avrà più difficoltà perché i migliori investigatori sono andati in pensione, altri stanno per seguirli e non c’è stato un ricambio».

Come vede una donna alla guida della Procura di Pesaro dove la maggior parte dei pm sono donne?

«È una persona di carattere, quindi saprà dare la sua impronta all’ufficio».

Che rapporto ha avuto in questi anni con la politica pesarese?

«Apprezzo il fatto che la città sia ben amministrata e nelle indagini che hanno lambito l’attività degli enti pubblici pesaresi è emersa correttezza di comportamenti. La politica è esercitata nel rispetto delle leggi».

A Pesaro governa lo stesso partito da sempre. Pensa che ci sia bisogno di un cambio di colore?

«Il cambiamento è sempre positivo. Fa bene a tutti, sia a quelli che subentrano che a quelli che lasciano che possono tornare con maggiore ossigeno».

Cosa pensa degli imprenditori pesaresi?

«Ci sono stati molti fallimenti e questo mi ha lasciato perplesso. C’è chi ha approfittato di certe leggi tornate a favore di chi falliva. Apprezzo invece molto quelle aziende che lavorano con l’estero. Penso a Gambini, Vitri, Scavolini, le aziende del settore dell’alluminio».

Cosa ha votato al referendum?

«Ho votato convintamente ‘sì’. Mi schiero sempre nel partito delle formiche che quando intravvedono un vantaggio lo prendono».

Quale era il vantaggio?

«I tempo più celeri nell’approvazione delle leggi con la riforma del Senato. Questa riforma poteva essere utile. Ora gli effetti del no si vedono dalla situazione di stallo».

Quanto il suo essere magistrato ha pesato sui suoi figli?

«Credo che li abbia penalizzati».

Cosa pensa dei magistrati in politica?

«Li vedo bene. Sono portatori di un’esperienza di legalità e giuridica che è una risorsa».

Bilancio della sua carriera e del mondo della magistratura?

«Mi aspettavo di entrare in un ambiente migliore. Ho trovato persone eccezionali, ma anche vere canaglie. Ho vissuto un periodo difficilissimo quando ero in Piemonte quando è stato arrestato il mio procuratore capo, anche grazie alla mia collaborazione, che è risultato appartenere alla ‘ndrangheta. Vivevo protetto e temevo per la mia famiglia. Quella vicenda è legata all’omicidio di Bruno Caccia, attuale in questi giorni».

Quale è stato il caso che l’ha colpita di più?

«Quello di Lucia Annibali, pensarla quei primi tempi avvolta dal buio. Mi sono immedesimato come padre».

Rammarichi?

«No, ho fatto appieno il mio dovere».