Terremoto, il racconto: "Crollava tutto, salva con i bimbi per miracolo"

Serena Pala era a Grisciano di Accumuli: "Un inferno in terra" SPECIALE FOTO E VIDEO - IL CONTO CORRENTE PER AIUTARE LE VITTIME

Serena Pala

Serena Pala

Pergola (Pesaro), 26 agosto 2016 - «Ho visto la morte in faccia. Ho lottato contro l’inferno. Mi sento miracolata: io, i miei figli, la mia famiglia». Sussurra parole con il poco fiato in gola che le è rimasto Serena Pala, 40 anni, residente a Pergola. Il marito, l’avvocato Roberto Rosti, era rimasto a casaa. Lei invece era in vacanza con i suoi due bambini, Alessia di 8 anni e Daniele di 5, a Grisciano, frazione di Accumuli, provincia di Rieti. A pochi chilometri dall’epicentro del sisma. La contattiamo all’ospedale di San Benedetto del Tronto, dove è stata appena operata alla mano per una grave lesione al tendine.

Serena, come si sente?

«Ho visto la morte, ho visto l’inferno, ho vissuto un incubo assieme ai miei bambini. Ma siamo vivi. E’ un miracolo. Non ci credo ancora ma siamo vivi, io, i miei bimbi e i miei genitori e la mia ferita alla mano non è nulla se penso al resto».

Cosa le è rimasto di quegli attimi terribili?

«Ho avuto una sensazione mostruosa. Mi sembrava che una ruspa potente mi stesse abbattendo la casa, la stessa distruggendo pezzo per pezzo. Poi ho sentito fortissime botte alle pareti, un frastuono sordo e terribile come se qualcuno le stesse prendendo a mazzate. Poi sotto il pavimento è come se stesse passando un treno, qualcosa di più grande di te, in grado di destabilizzare tutto».

Allora cosa ha fatto?

«Dormivo, con i miei due bambini. All’inizio sono rimasta a letto paralizzata dal terrore e urlavo, urlavo forte con loro. Dal soffitto cadeva il cemento. Poi ho visto arrivare mia mamma dall’altra stanza e urlavano tutti senza più voce. Poi quando sono uscita dalla camera da letto, ho visto fumo e odore di calcinacci e cemento. C’erano le case che crollavano attorno a me. Cadeva tutto come in un film dell’orrore, solo che era tutto vero. Io chiamavo aiuto, dicevo ‘mamma, babbo, aiutatemi, è finita, moriamo tutti’. E loro erano come impietriti, gli occhi sgranati e non sapevano cosa fare. E’ allora che abbiamo pensato, tutti insieme. guardandoci col terrore in volto: è la fine, stavolta è la fine».

Come avete fatto a salvarvi?

«I miei genitori mi gridavano di stare ferma che altrimenti crollava la stanza. Ma io come d’istinto mi sono buttata giù per le scale. Tremava tutto, pensavo che anche le scale cedessero da un momento all’altro, ma ci ho provato, mi sono detta che era l’unica cosa da fare. Mio babbo mi urlava di non farlo, ma io ho preso la via delle scale e loro, dietro di me, hanno preso coraggio e sono scesi in fondo, fino alla porta, mentre attorno a noi cadevano pezzi ovunque».

I bambini?

«Erano dietro di me, con mia madre che li teneva stretti e cercava di copririli. Un gesto instintivo di protezione, ma sarebbe stato tutto inutile in caso di crollo totale della casa».

Quindi siete riusciti a uscire?

«No. Eravamo ancora prigionieri dell’inferno. Giunti in fondo alle scale, ho provato ad aprire la porta ma questa era bloccata e non si apriva. Era stata piegata dal peso delle pareti barcollanti. Allora ho pensato che l’unica via di uscita fosse l’altro portone che dà sul giardino, ma appena mi sono avvicinata è stato il panico: dal vetro si vedeva che l’esterno era coperto e ostruito da travi e calcinacci caduti. Mi sono detta: devo togliere i calcinacci davanti al portone. E’ lì che mi sono ferita, mi sono tagliata coi vetri della porta. Ma eravamo ancora in trappola come topi, come condannati a una fine assurda».

Come ha fatto a uscire?

«I miei vicini di casa hanno capito che eravamo prigionieri e hanno preso a dare spallate contro il portone, col rischio di buttare giù le pareti della casa piegate dal terremoto. E infatti attorno a noi cadeva tutto: il comignolo dall’alto, i mattoni. Finché la porta ha ceduto e ci siamo precipitati fuori. Non finirò mai di ringraziare i miei vicini di casa. Hanno rischiato la vita per noi. L’anziana che abitava di fronte a noi invece non ce l’ha fatta: è rimasta sepolta nelle macerie».

Fine dell’incubo?

«No. Vedevamo le case crollare. Attorno a noi era una pioggia di coppi, di lastre di cemento, di mattoni che potevano colpirci da un attimo all’altro. Eravamo in una piazzola di un vicino di casa. Lo pensavamo il luogo meno insicuro, ma vediamo correre verso di noi un altro residente che ci invita a seguirlo verso la piazza se volevamo davvero salvarci la vita. Ho preso il coraggio a due mani e mi sono messa a correre come una pazza. Ero in trance. La mia bimba in braccio. Il mio piccolo portato non ricordo da chi. Sono stati i duecento metri più lunghi della mia vita. Quando siamo arrivati in piazza ho detto: questo spazio è troppo grande, qui non può caderci nulla addosso. Siamo salvi, siamo vivi».