Detenuto in Venezuela, Federici spera di tornare a settembre

“In carcere faccio il giardiniere, mangio perché la mia famiglia paga qualcuno per portarmi cibo“ Il pesarese è stato arrestato nel 2015 per commercio clandestino di volatili, e condannato a sei anni

Luigi Federici, 68 anni, pesarese, detenuto in Venezuela

Luigi Federici, 68 anni, pesarese, detenuto in Venezuela

Psaro, 26 aprile 2017 - Due squilli, al terzo risponde una voce decisa: «Pronto, chi parla?». Sembra l’addetto di un centralino. Invece è Luigi Federici, 68 anni, pesarese, libero di rispondere al telefono dalla caserma militare di Maiquetia, a 20 chilometri da Caracas, Venezuela. Dove Federici è recluso dal 10 settembre 2015 per commercio clandestino di volatili.

Ha già avuto la condanna a sei anni di reclusione dopo esser stato sorpreso in aeroporto a Caracas con 57 specie di uccellini amazzonici di razza non protetta comprati da un commerciante senza licenza.

Luigi è stato arrestato seduta stante, attaccato con una catena ad un termosifone dell’aeroporto dove vi è rimasto due giorni. Poi la carcerazione in un caserma e il processo con una condanna a sei anni, pena che in Italia viene inflitta a rapinatori seriali, spacciatori internazionali e per tentati omicidi.

«Adesso sono diventato ortolano e giardiniere – dice Federici – sto seminando una specie di fagiolo che si chiama Quinchocho, che viene alto almeno un metro e mezzo. Ma sono contento perché ho potuto darmi da fare ripulendo tutto il giardino e il terreno del perimetro della caserma. Fino al mio arrivo era colma di rifiuti di ogni tipo. Quando mi hanno detto di darmi da fare non mi sono tirato indietro. Ho ricavato l’orto che sta già cominciando a dare i frutti. Questa è una terra fertile. Un generale mi ha portato anche 4 semi di spinaci e 6 di bietole».

Per Luigi il problema non è come occupare il tempo ma come affrontare i suoi problemi di salute: «Ho un’ernia inguinale che devo operare. E una gastrite che non mi dà tregua. Sono stato visitato da medici militari i quali mi hanno detto che l’ernia va operata. Io non so come affrontare questa situazione. Ho perso 16 chilogrammi, mangiamo ovviamente poco e per fortuna mi faccio portare tutti i giorni un pranzo da un residente del paese che riceve soldi dalla mia famiglia per comprare il cibo. Mi cucina pasta italiana e questo mi fa stare meglio. Ma a questo punto, dopo oltre un anno e mezzo di carcere, pur trattato bene, ma carcere, chiedo che i miei amici di Pesaro, i politici della mia città o i parlamentari si rivolgano direttamente al presidente Maduro chiedendo la mia scarcerazione per motivi di salute. Io temo che la mia situazione sanitaria qui dentro possa precipitare da un giorno all’altro. Non mi abbatto perché nel frattempo si sta muovendo qualcosa. Non voglio dirlo forte ma credo che a settembre prossimo mi possano dare il beneficio del lavoro comunitario. Cioè poter scontare in Italia il resto della pena lavorando magari due ore al giorno per la Caritas. Ne è convinto anche il Consolato».

Ma per Federici la situazione del paese sudamericano dove si trova ora è sempre più difficile: «Ogni mattina alle 3 partono dalla mia caserma tante camionette piene di soldati per andare a presidiare le piazze e le strade di Caracas. Quello che mi colpisce è che qui la gente muore tutti i giorni per le manifestazioni. Ma i giornali e la tv ne parlano una volta, al massimo due, e poi non più. In Italia sarebbe l’argomento principale per mesi. Invece qui c’è come una rassegnazione. Muoiono le persone ma sembra non interessare a nessuno».