Rof, "Ciro in Babilonia" come un film muto: e il pubblico apprezza

L'opera riproposta al Teatro Rossini nel premiato allestimento firmato Davide Livermore, è la produzione che più ha convinto in questa 37esima edizione del festival

Rof, "Ciro in Babilonia"

Rof, "Ciro in Babilonia"

Pesaro 11 agosto 2016 - Diciamoci la verità. Questo Ciro in Babilonia, riproposto al Teatro Rossini nel premiato allestimento firmato Davide Livermore, è la produzione che più convinto noi e il pubblico in questa 37esima edizione del Rof. Nel dramma portato in scena dal regista torinese tutto è stato magnifico, perfettamente calibrato. Regia, luci, scene, costumi effetti video (peraltro già noti), compagnia di canto, direzione orchestra e coro. Tutto perfetto. Anzi. La produzione di quest’anno ci è sembrata persino migliore rispetto a quella vista quattro anni fa al festival. Soprattutto per la scelta degli interpreti da affiancare alla regina indiscussa dell’opera: Ewa Podles. Dell’allestimento di Davide Livermore, che per questo suo Ciro aveva vinto nel 2012 il premio Abbiati per i costumi, poco da dire. La sua idea di ispirare il dramma di Francesco Aventi al cinema muto, era apparsa già allora a dir poco geniale. Ma è stata la sua realizzazione, grazie alla quale molte delle scene erano niente altro che effetti di proiezioni video, tutto giocata sul bianco e nero, che la vicenda di Ciro, re di Persia si è dipanata in un crescendo di emozioni. Il coro, spettatore di un affollato cinema nei primi anni del Novecento, assiste stupefatto alla travagliata storia d’amore tra Ciro (Ewa Podles) e sua moglie Amira (Pretty Yende), prigioniera del re degli Assiri in Babilonia. E tutto scorre proprio come in un film muto. Movimenti volutamente enfatizzati, pose di puro stupore, trucco al limite della caricatura. Come sempre i costumi di Gianluca Falaschi (un genio), hanno dato al tutto quel che di epico e sacrale che in fondo sottendente tutta la vicenda e che all’epoca della scrittura fece paragonare questa partitura più che a un’opera a un oratorio.

Ma veniamo agli interpreti. Se nel 2012 la Podles fece venir giù il teatro, anche quest’anno il contralto polacco ha vinto la sfida. Ad oltre 70 anni la cantante di Varsavia riesce ancora a stupire, emozionare. Sono ben note le sue capacità vocali, un unicum nel mondo del belcanto. Soprano e contralto insieme, la Podles riesce a compiere delle evoluzioni al limite della fisica acustica: dai registri gravi quasi baritonali agli acuti in un lampo e con una naturalezza disarmante. Una quasi bifonia che ricorda da vicino alcuni esperimenti acustici di Demetrio Stratos. Vecchia scuola si dirà ma lei è davvero un fenomeno da studiare, una voce da clonare. E poi come non elogiare la spalla di Pretty Yende, una piacevolissima sorpresa di questo Rof. Un’altra stella che ha sorpreso per virtuosismo e colore. La cantante sudafricana ci è sembrata oltre che dotata di una grande tecnica anche perfettamente padrona del ruolo a livello scenico. Ci auguriamo che dopo questo suo felice esordio diventi una delle voci del Rof del futuro. E se abbiamo parlato della Podles e della sua classe non possiamo non citare Antonino Siragusa, da oltre 20 anni uno dei tenori italiani più brillanti e convincenti nell’universo rossiniano qui straordinario nel ruolo del re degli Assiri. Anche il resto della compagnia di canto si è dimostrata all’altezza di questo produzione. Applausi convinti anche al direttore d’orchestra, il giovane Jader Bignamini, altra piacevole sorpresa di questo Rof alla guida dell’Orchestra e del Coro del comunale di Bologna. Alla fine il popolo del Rof ha applaudito a lungo, ben oltre le uscite ufficiali di rito sul proscenio, a salutare un allestimento davvero ben riuscito ed emozionante.