Martedì 23 Aprile 2024

La guerra dei numeri

Roma, 2 settembre 2015 - L’ARREMBAGGIO all’ultimo dato quando torna utile al proprio racconto, la guerra dei numeri, la più impercettibile inversione di tendenza elevata a inconfutabile segno degli Dei che l’eroe ormai è prossimo al traguardo: questo ormai è il contenuto del dibattito politico che va in scena quotidianamente. E la scena si va ripetendo anche ora, con l’Istat che ha fornito nuovi dati su Pil e occupazione e il governo baldanzoso suona la grancassa, con inevitabile trionfalistico tweet di Renzi che spiega senza remore e dubbi che ora tutto cresce grazie alle riforme, mentre Squinzi recita la parte del gufo e trova altrove i motivi di quei numeri appena un po’ più confortanti del previsto. Chi è abituato a ragionare sulla complessità dei rapporti causa-effetto trova irragionevole e un po’ ridicolo tutto questo, ma non sorprendente. Non sorprendente perché quando la politica è di corto respiro e priva di progettualità, come appare in molti casi la politica contemporanea delle democrazie occidentali e in modo particolarmente evidente quella italiana, allora tutto si nutre della spasmosdica ricerca del consenso qui e ora, con l’indicatore del momento.

È UN continuo calare assi (o pretesi tali) perché si è perso il senso delle ragioni profonde della politica, che non stanno nell’ultimo numero del giorno, ma nella sua fattibilità, coerenza, nel suo essere stata progettata con cognizione di causa. Poi viene la valutazione dei risultati, che richiede tempo e serietà. Così si discute dei risultati delle politiche pubbliche, così si fanno le politiche pubbliche. Si pensi al tema che ha dominato l’agosto politico e che, stiamo certi, dominerà i prossimi mesi: l’abbassamento delle tasse promesso da Renzi. Al di fuori di un coerente progetto di politica fiscale ed economica (a meno che studi e conti non siano tenuti segreti). Renzi ha deciso di partire dalla prima casa, misura che, secondo diversi osservatori, appare ben poco in grado di incidere sullo sviluppo. Al tempo stesso, prima ha soprasseduto sulle risorse necessarie per l’operazione, poi ha spiegato che essa sarà fatta con il ricorso al deficit, dando così da un lato, l’idea di una mossa volta soprattutto a recuperare consenso, dall’altro, l’impressione che in realtà si perpetui un modo tradizionale, da Prima Repubblica, di attuare le politiche pubbliche (oltre che, come ha notato Cottarelli, si dia luogo a politiche che difficilmente assumeranno natura strutturale). E l’intervento del ministro Padoan, che ha precisato che le tasse si abbassano tagliando la spesa, fa ritenere che certe preoccupazioni costituiscano qualcosa di più del frutto della malevolenza di inguaribili gufi.

QUESTA immagine di un modo di procedere un po’ occasionale fornitaci dagli esempi di questi giorni e settimane, oltre a scontare l’incertezza che domina tra i Paesi occidentali, può in parte essere collegata con quello che sappiamo dello stile della leadership di Renzi. In un articolo recente, ad esempio, si è fatto riferimento a una cospicua presenza a Palazzo Chigi di consiglieri economici coi quali il leader del governo interagisce a tu per tu e che dunque non formano una squadra; sappiamo che questo costituisce il suo più generale stile di leadership. Ma la capacità di costruire sin da subito la squadra giusta è considerata una delle abilità necessarie per un leader e costituisce una formidabile risorsa per costruire progetti credibil. Progetti che non devono trarre la loro legittimazione dall’ultimo dato utile.